Credere nel futuro: ricerche psicologiche sulla "speranza"
Santo Di Nuovo (Università di Catania), Paola Magnano (Università Kore di Enna)
Riscoprire la “speranza”: il contributo della “psicologia positiva”
“Credere” in qualcosa ha ancora senso, in una società post-moderna in cui il benessere appare affidato allo sviluppo delle tecnologie e la verità è quella dei media? Si può essere appagati e “felici” senza una prospettiva del futuro, o addirittura ritenendolo – in un’ottica pessimistica di fondo – potenziale fonte di rischio e di malessere? Se è vero che la felicità “non dipende da condizioni oggettive di ricchezza, salute e relazioni sociali” ma “invece dal rapporto tra condizioni oggettive e aspettative soggettive”, e in essa “c’è un’importante componente cognitiva ed etica” (Harari, 2017, pp. 475, 485), bisogna studiare quali variabili psicologiche creano aspettative di benessere, e le proiettano in un futuro che la persona ritiene di poter realizzare. È ipotizzabile il superamento della diffusa sensazione di sfiducia nelle ideologie e della visione pessimistica del futuro – diffusa specialmente nelle giovani generazioni – rivalutando concetti su cui la ricerca psicologica ha compiuto studi empirici di rilevanza sociale. La “psicologia positiva”, a partire dagli studi di Seligman (2000) e Snyder e Lopez (2002), ha esaminato concetti come la speranza, l’ottimismo, la felicità, il coraggio e la soddisfazione nella vita, approfondendo scientificamente il ruolo di questi antichi e ‘intuitivi’ concetti nelle diverse aree del comportamento umano: adattamento individuale e sociale, performance lavorativa, comportamento organizzativo (Carr, 2004). Nell’ambito del paradigma Life Design (Savickas et al., 2009), i costrutti della psicologia positiva sono stati inclusi nel counseling e negli interventi di orientamento professionale, insieme alle dimensioni tradizionalmente considerate, quali gli interessi professionali, l’autostima e l’auto-efficacia. Questi costrutti costituiscono i punti di forza, le risorse personali che favoriscono la risposta adattiva agli stimoli sociali, la pianificazione degli studi e del lavoro, e la gestione delle transizioni di carriera e di vita. La speranza è una delle risorse psicologiche più importanti per l’individuo ma anche per i gruppi sociali: implica la capacità di pensare positivamente al futuro, con l’aspettativa di avere esperienze positive ed evitare quelle negative. È possibile così promuovere la pianificazione futura e un efficace adattamento socio-emotivo della persona e dei gruppi sociali. Il costrutto ha diverse articolazioni: Averill et al. (1990) e Scioli e al. (1997) ne hanno sottolineato la natura emotiva, mentre Snyder (2000) ne ha evidenziato la natura cognitiva, che riflette la motivazione e la capacità delle persone di perseguire obiettivi personalmente rilevanti. Snyder et al. (1991) hanno ipotizzato che il pensiero orientato all’obiettivo coinvolga due componenti interrelate: l’agency, che si riferisce alla capacità dell’individuo di iniziare e mantenere le azioni necessarie per raggiungere un obiettivo e la costruzione di percorsi, che si riferisce alla capacità di generare piani per i propri obiettivi. Molti studi hanno dimostrato che la speranza è correlata a diversi esiti positivi nel ciclo di vita delle persone: è un fattore moderatore dello stress sugli esiti relativi alla salute fisica (Chan, 1977; Gottschalk, 1985) e influisce sull’adattamento psicosociale di pazienti affetti da cancro (Del Vecchio et al., 1990; Snyder et al., 1991). Un atteggiamento aperto alla speranza aiuta i pazienti ad affrontare in modo più efficace la loro malattia (Wiles et al., 2008), anche se vanno meglio approfondite le connessioni tra speranza e gravità dei sintomi nei disturbi di salute mentale, al fine di integrare le consuete terapie psicologiche in setting specifici (Schrank et al., 2008). In generale, la speranza è predittrice del benessere cognitivo (Park et al., 2004). Invece, alla mancanza di speranza si associa un aumento significativo del rischio di disturbi mentali e, più specificamente, di depressione e comportamenti suicidari (Frank, 1968; Erickson et al., 1975; Becke al., 1979; Melges & Bowlby, 1969; Hanna, 1991). La speranza è anche legata a variabili positive legate alla carriera come l’identità professionale, le credenze e l’autoefficacia nelle decisioni lavorative (Amundson, 2013, Yakushko e Sokolova, 2010) ed anche ai migliori risultati scolastici (Kenny et al. 2006). Essa è più in generale coinvolta anche nello sviluppo della spiritualità (Merton, 1961; Miller & Powers, 1988: May, 1991).
I correlati psicologici della speranza
La speranza risulta correlata con altre variabili psicologiche quali autostima, auto- efficacia e abilità di risoluzione dei problemi (Schunk, 1989; Borkowski, et al., 1990; Carifio & Rhodes, 2002: Davidson, et al., 2012). L’autoefficacia come definita da Bandura (1986) farebbe parte del costrutto di speranza secondo Snyder, focalizzando l’attenzione su convinzioni molto precise e valutazioni di fiducia in un dominio ben definito. L’autoefficacia generalizzata è definita da Schwarzer (1993) come credenza positiva usata per far fronte a richieste difficili nella vita: la persona crede che le proprie azioni siano la causa diretta dei risultati positivi che si ottengono (questa definizione riprende l’antico concetto di attribuzione all’interno del “luogo di controllo del rinforzo”). Nell’ottica della teoria cognitiva sociale, l’autoefficacia è considerata un fattore che opera insieme a molti altri, come la capacità di definire degli obiettivi, le aspettative sui risultati, all’interno dei processi decisionali. Le persone che associano speranza ed autoefficacia sono convinte di possedere abilità specifiche da utilizzare come strategie di resilienza per ridurre il rischio di conseguenze psicologiche di eventi sfavorevoli (Steptoe et al., 2009). I bassi livelli di auto-efficacia e speranza si associano invece a insufficienti capacità di problem-solving (Snyder, 2002). Magaletta e Oliver (1999) hanno sottolineato che, anche se auto-efficacia e speranza sono costrutti diversi, hanno aspetti in comune: la speranza sembra essere correlata non solo all’auto-efficacia generale, ma anche all’auto-efficacia in specifici domini, come quello scolastico e di apprendimento (Feldman e Kubota, 2015), nel career decision making (Ginevra et al., 2016) e nella riabilitazione (Hartley et al., 2008). Una recente rassegna (Bowers & Bowers, 2023) ha evidenziato la funzione della speranza nel promuovere risultati positivi nello sviluppo in adolescenza, identificando le relazioni familiari e genitoriali come risorse chiave per promuoverla, anche se esistono al riguardo importanti differenze culturali e contestuali. Un altro tratto positivo di personalità, certamente connesso alla speranza, è l’ottimismo, riguardante l’aspettativa che risultati positivi si verifichino al di là delle azioni personali (Scheier & Carver, 1985). Carr (2004) include la speranza e l’ottimismo tra le emozioni più importanti per il benessere soggettivo. In realtà si tratta di costrutti distinti ma parzialmente sovrapposti: sono simili nella componente di costruzione dei percorsi di vita, poiché entrambi si riferiscono alle aspettative sui risultati; divergono in quanto l’ottimismo include anche aspettative sui risultati ottenuti attraverso gli altri e le forze al di fuori del sé, mentre la speranza riguarda unicamente i risultati ottenuti dal sé (Magaletta & Oliver, 1999). Il grado di sovrapposizione e divergenza tra speranza e ottimismo suggerisce che potrebbero anche essere considerati indicatori di una dimensione più generale che riflette l’orientamento positivo verso il futuro (Gottschalk, 1974; Snyder et al., 1991; Ginevra et al., 2016); all’interno di questo costrutto sovraordinato la speranza è focalizzata su obiettivi personali futuri, mentre l’ottimismo riguarda più le aspettative generali di risultati positivi (Bryant & Cvengros, 2004). L’ottimismo implica una convinzione generalizzata che considera gli eventi futuri in una luce favorevole e vede gli obiettivi come realizzabili; ha una relazione positiva con l’autoefficacia generalizzata (Jerusalem & Schwarzer, 1992; Zagórska & Guszkowska, 2014). Gli ottimisti si aspettano che le cose “vadano bene”, mentre i pessimisti presumono che le cose “non funzionino a loro favore”. Sebbene gli ottimisti abbiano un’aspettativa positiva verso il raggiungimento dei loro obiettivi, potrebbero non mantenere l’autoefficacia per eseguire i comportamenti necessari. Ciò suggerisce l’importanza di associare credenze ottimistiche e speranza (Carver & Scheier, 2001). Però la distinzione tra speranza e ottimismo è ancora controversa in letteratura: nell’articolo di Peterson e Seligman (2001) sulla classificazione dei punti di forza della persona i due costrutti sono stati raggruppati insieme come una caratteristica unica; sono entrambi considerati stati di “anticipazione positiva” (Burininks & Malle, 2005). Averill et al. (1990) hanno suggerito che la differenza principale tra questi due stati è che la speranza è più un’emozione rispetto all’ottimismo che ha più componenti cognitive (per quanto questa differenza sia sfumata in base alle recenti teorie delle neuroscienze). Un altro aspetto in cui la speranza e l’ottimismo differiscono riguarda i risultati rappresentati. Le persone sono più ottimiste riguardo ai risultati generali della propria vita, mentre sperano in risultati specifici. Tuttavia, sia la speranza che l’ottimismo implicano qualche aspettativa che si verifichi l’esito positivo; per l’ottimismo, questa aspettativa sembra dipendere da una significativa probabilità che il risultato positivo si verifichi (Burininks & Malle, 2005).
“Misurare” la speranza: la Hope State Scale
Considerando l’importanza che la speranza assume nell’influenzare il comportamento umano, il funzionamento psicologico e l’adattamento individuale e sociale, è stata sottolineata nella letteratura psicologica l’esigenza di avere uno strumento affidabile e valido utilizzabile per la ricerca anche in ottica interculturale. Uno strumento per la misurazione della speranza come variabile di ‘stato’ (diverso da quella che risponde a caratteristiche di ‘tratto’ stabile) è la Hope State Scale (Scioli et al., 2011), che ha mostrato qualità utili per un adattamento transculturale. La Hope State Scale è un questionario composto, nella sua versione originale, da 40 item. Le istruzioni sono: “Questo questionario riguarda i tuoi pensieri e sentimenti attuali e recenti. Cioè, come ti senti adesso e nelle ultime due settimane “. Ai soggetti è chiesto di valutare i propri pensieri e sentimenti usando una scala Likert a 5 punti che va da (0 = nessuno) a (4 = molto forte). Gli items sono raggruppati in 10 scale: – Vantaggi essenziali (es: “Mi sento fiducioso di poter raggiungere un obiettivo di vita importante”), – Sostegno allo sforzo personale (es: “Posso contare su un aiuto esterno per raggiungere i miei obiettivi”), – Legami interpersonali (es.: “ Sento molto vicino a me un amico o un familiare”), – Esperienze di fiducia (es: “Trovo difficile fidarmi delle persone”, in questo caso il punteggio è invertito), – Riduzione della paura (es: “Le mie emozioni sono sotto controllo”), – Esperienze di liberazione (es: “In alcuni momenti della mia vita mi sento come in trappola”, punteggio inverso), – Fiducia nei rapporti interpersonali (es: “Un buon modo per ridurre lo stress è passare del tempo con i miei amici e/o la famiglia”), – Ispirazione spirituale (es: “Uso la preghiera o la meditazione per aiutarmi a raggiungere un obiettivo importante”), – Presenza spirituale (es: “Mi sono sentito connesso a una forza spirituale”), – Fiducia nella spiritualità (es: “Uso la preghiera o meditazione per ridurre le mie preoccupazioni”). Le dieci dimensioni formano quattro cluster:
(1) Padroneggiamento, formato da Vantaggi essenziali e Sostegno allo sforzo personale;
(2) Attaccamento, formato da Legami interpersonali and Esperienze di fiducia;
(3) Sopravvivenza, formato da Riduzione della Paura, Esperienze di Liberazione e Fiducia nei rapporti interpersonali;
(4) Spiritualità, formato da Ispirazione spirituale, Presenza spirituale e Fiducia nella spiritualità.
La Hope State Scale fornisce anche due punteggi riepilogativi: la speranza non spirituale (clusters 1, 2 e 3), e la speranza di stato totale. I valori di attendibilità (alfa di Cronbach) riportati dagli autori (Scioli et al. 2011) variano da .83 a .98 per le singole subscale; per la scala totale è .96.
Studi di validazione della Hope State Scale
È stata intrapreso, in uno studio multicentrico condotto in collaborazione con l’autore della scala originale (Magnano, Di Corrado, Di Nuovo, & Scioli, 2019), un adattamento e validazione della Hope State Scale nel contesto italiano, per introdurre anche nel nostro paese la possibilità di valutare in modalità psicometriche la speranza e studiarla sperimentalmente in una prospettiva multidimensionale e interculturale. I risultati, oltre a confermare l’attendibilità e validità della scala anche nel contesto culturale italiano, hanno confermato che la speranza è un’emozione che si verifica quando ci si concentra su un importante risultato futuro, anche se questo consente un ridotto controllo personale, e quindi la persona stessa è in grado di far poco per determinare il risultato. Inoltre, la speranza non si verifica solo quando il contesto fornisce evidenze che si può conseguire un risultato positivo mediante il proprio impegno attivo (in quel caso agisce prevalentemente l’autoefficacia), ma anche quando le probabilità potrebbero non apparire favorevoli. Anche quando la persona si rende conto che l’esito sperato potrebbe non verificarsi, se ha un alto grado di speranza, continua a credere comunque in un possibile esito positivo. In tempi di incertezza e ansietà, la speranza è un fattore potente di qualità di vita, per il suo rilevante impatto sul funzionamento fisico, mentale e sociale dell’individuo (Scioli, 2007); per questa ragione, come si è visto, è uno dei predittori del benessere generale (Ciarrochi & Deneke, 2006) e della soddisfazione per la propria vita (Santilli et al., 2017). Studi recenti hanno dimostrato il suo ruolo nella promozione del benessere soggettivo e dell’adattamento psicologico, anche durante la pandemia da COVID-19: la speranza è fortemente correlata al benessere spirituale (Magnano, Zammitti, Dibilio, & Faraci, 2019) e svolge un ruolo di mediazione nella relazione tra salute mentale e crescita post-traumatica in tempo di Covid-19 (Di Corrado, Muzii, Magnano, Coco, La Paglia, & Maldonato, 2022). Essa, inoltre, è una delle risorse psicologiche da implementare per promuovere lo sviluppo professionale degli adolescenti (Santisi, Magnano, Zammitti, & Zarbo, 2021) e degli studenti universitari (Zammitti, Russo, Ginevra, & Magnano, 2022).
Conclusioni
Nella “società del rischio” (come definita da Beck, 2006), dove le incertezze e i frequenti cambiamenti sono caratteristiche importanti, le persone e i gruppi sociali devono far fronte a una realtà sempre più instabile, e “credere” in qualcosa che aiuti a mantenere il benessere e non temere di perderlo in futuro, ma anzi a potenziarlo a lunga scadenza. A questo fine vanno sviluppate appropriate risorse psicologiche: la speranza, insieme al coraggio, all’ottimismo, alla resilienza, alla perseveranza, può aiutare le persone e i gruppi sociali a sostenere e gestire la crescente imprevedibilità del mondo, e affrontare meglio le difficoltà legate alle transizioni della vita (Magnano, Paolillo, Platania, & Santisi, 2017). Come esempio di applicazione ad un problema sociale di grande attualità, citiamo uno studio sulla percezione che i migranti hanno del futuro e di un lavoro “decente”, intendendo con questo termine una mansione soddisfacente, svolto in condizioni di equità, sicurezza, rispetto dei diritti. La dimensione della speranza ha un ruolo importate in questa percezione, e può essere supportata da interventi psicologici mirati (Di Nuovo, Di Corrado e Magnano, 2021). Studi futuri potranno verificare ulteriormente le caratteristiche psicometriche della misurazione della variabile speranza, e utilizzare questa valutazione per approfondire sperimentalmente l’esplorazione – anche in dimensione interculturale – delle relazioni tra speranza, soddisfazione di vita e benessere: le dimensioni che consentono all’umanità di “credere” in una vita migliore, da costruire nei diversi contesti sociali.
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