La voce del sangue. Senso e mistero del legame di sangue
Marisa d'Arrigo
In psicologia dello sviluppo l’attenzione dei clinici e dei ricercatori è stata posta sui fattori relazionali/ affettivi, sulla qualità dell’attaccamento nella relazione adulto/ bambino mantenendo sullo sfondo il relativo dato biologico genitore/figlio. Numerose testimonianze sembrano dimostrare la validità delle scelte:
«Sopravvalutare i legami biologici è un luogo comune sorretto
dall’ignoranza e dalla scarsa capacità di “leggere” la vita degli uomini.
Per la scienza e per gli individui dotati di un discreto senso comune
è chiaro ormai da tempo che le influenze date dall’ambiente e dalle
relazioni incidono in modo determinante sullo sviluppo e la creazione
del carattere di una persona, mentre i caratteri ereditari si limitano
praticamente a modellarne l’aspetto fisico.»
(Enrico, adottato a tre mesi)
«Siamo il frutto delle persone con cui abbiamo vissuto la nostra vita
non di quelli che ce l’hanno donata, siamo figli dei genitori che ci
amano, ci allevano, educano, siamo genitori dei figli che amiamo,
alleviamo, educhiamo, indipendentemente dai legami di sangue!»
(Claudia, figlia e madre adottiva)
La vita dunque, il suo sviluppo e il comportamento umano sono stati visti come prodotti di molteplici fattori che l’individuo, partendo da quanto ha a sua disposizione, intreccia in maniera creativa (e Jung in questo, con il suo principio di individuazione, è stato sicuramente un maestro). Lo sviluppo delle neuroscienze ha trovato la base organica di molte intuizioni filosofiche e psicologiche, e si sono sviluppati concetti e filoni di ricerca che fanno capo all’epigenetica e alla neuroplasticità. Alla base dell’epigenetica c’è una sorta di inversione di paradigma: l’informazione genetica non va meccanicisticamente ed unidirezionalmente dal genotipo (il DNA) al fenotipo (l’individuo) ma ha un movimento, almeno parzialmente, circolare, che favorisce o inibisce l’accensione di porzioni di DNA. Ogni essere umano dunque nasce con un patrimonio genetico, tuttavia le influenze ambientali possono portare all’alterazione dell’espressione di specifici geni. Sono quindi incorporate nella biologia. Nell’incontro dell’individuo con l’ambiente, cioè, possono avvenire delle modificazioni dell’espressione dei geni. Per dirla con parole chiare, prese a prestito dal codice delle note: la partitura è la stessa, l’arrangiamento differisce ed ogni esecuzione è unica e irripetibile.
Il termine neuroplasticità (Bach-y-Rita, 1981) fa riferimento al concetto di ‘neurogenesi’, cioè alla nascita ed alla crescita di nuovi neuroni e nello specifico designa la capacità del cervello di ristrutturarsi a seguito di lesioni cerebrali sotto l’influenza di fattori esterni di tipo ambientale e comportamentale. Con l’uso infatti di tecnologie di imaging, quali la risonanza magnetica funzionale, è stato possibile registrare i cambiamenti sul piano morfologico e funzionale di strutture quali l’amigdala, la corteccia prefrontale, l’ippocampo a seguito di particolari esperienze. Questi filoni di ricerca dunque si muovono in quell’ambito nel quale il fattore psicologico/ambientale diventa biologico, evidenziando, e rendendo evidenza scientifica, la connessione tra uno stato esperienziale/psicologico e la memoria genetica considerata dalla biologia il livello più intimo e profondo della vita: il corpo non dimentica nulla. La mia riflessione vuole porre l’accento, e un interrogativo, sul valore del legame di sangue, un legame fisico e biologico prima che psicologico, che, nonostante quanto affermato in precedenza, sembra restare profondamente centrale. Basti pensare all’inquietudine e all’importanza della ricerca delle origini che caratterizza sovente la storia dei bambini adottati, anche quelli nati da parto anonimo e quindi accolti dai genitori adottivi in tempi molto brevi. Verrier (2009) parla in questi casi di ‘ferita primordiale”. O alla soggettiva percezione di qualcosa che “non quadra” nei bambini nati da PMA con donazione di gameti. «Accorgersi quasi inconsciamente che c’è qualcosa che non va fin da quando si è piccoli (... )» (Audrey Kermalvezen, giovane avvocatessa francese, che a 29 anni ha saputo di essere stata concepita con lo sperma di un donatore sconosciuto). O alla vicenda del sito statunitense Donor sibling registry attraverso il quale si sono contattati 150 fratelli, figli di un unico donatore, di cui si conosce solo il numero identificativo. O ancora al documentario Anonymous Father’s Day (2011) in cui uno degli intervistati (tutti nati da PMA con donazione) sottolinea come da una parte si dice che il legame di sangue non conta e che i veri genitori sono quelli che ti crescono, dall’altra frequentemente le madri si fanno inseminare dallo stesso donatore in modo da avere figli che siano fratelli tra loro. Spostandoci poi dal fronte dei figli a quello dei genitori, pensiamo alla complessità che accompagna molte genitorialità adottive o da PMA che sentono come fragile, se non a volte finto, il rapporto con il figlio, e scarsamente legittimato, e spesso minacciato, il proprio ruolo. E anche all’ostinazione che caratterizza alcuni percorsi generativi (un figlio a tutti i costi e un figlio nonostante i limiti di età, di genere, di scelte esistenziali e relazionali). Dietro la maternità surrogata, dietro la donazione di sperma e di ovociti, dietro l’ostinazione procreativa, nella variegata gamma di possibilità che le nuove tecnologie in qualche modo permettono, c’è l’espressione di un desiderio di genitorialità (con tutta la complessa gamma di significati che questo concetto comporta sia come individui che come razza), o ci sono aspetti di grandiosità onnipotente e narcisistica? Perché è così importante procreare e perché sentiamo così forte il legame con il corpo che ci ha generato? Sembrerebbe che, prima di ogni forma di intenzionalità, sia presente un desiderio a-specifico, una vaga intuizione che spinge la persona ad andare oltre, a scavare nella propria vita e nella propria possibilità oltre i confini dell’esperienza sensibile ed immediata, in una dimensione «meta-esperienziale», cioè «al di là dell’esperito», dello sperimentato, e «(…) un mistero nei suoi vari aspetti (…) è una presenza e assenza nello stesso tempo, qualcosa che è e non è. È dunque uno squilibrio, un’inquietudine nella mente umana» (F. Imoda 2005, p. 56. ). Quindi pur essendo la crescita, l’evoluzione, l’individuazione un andare oltre il legame di sangue, sembrerebbe che per potersi attuare ci si debba ripiegare sull’origine, conoscerla per poterla poi superare.
E torniamo al sangue ed al suo valore centrale
Esso infatti è un timbro, portatore di identità, di appartenenza e fratellanza, di condanna e di cura, elemento di vita, di fertilità ma anche di sacrificio e morte, elemento di memoria ed oblio nel gioco delle narrazioni familiari. È sostanza dai multiformi significati biologici, sociali, religiosi e culturali. Ha sempre giocato un ruolo altamente simbolico nelle diverse civiltà. In quasi tutte le cosmogonie il creato nasce da uno spargimento di sangue che feconda la materia. Esso è l’emblema per eccellenza del sacrificio ed è una componente necessaria nei rituali sacrificali sia in forma materiale che simbolica. Circola all’interno del nostro corpo grazie ad un complesso sistema di vasi. È un tessuto connettivo allo stato liquido che garantisce l’apporto di elementi nutritivi ed ossigeno all’organismo che lo produce e raccoglie i prodotti di scarto del nostro metabolismo. Per i cinesi non è semplicemente un liquido rosso che circola nei vasi sanguigni, bensì è considerato un tutt’uno con il qi, il soffio vitale, il quale scorre all’interno dell’organismo. Sembra rappresentare un’essenza di matrice vitale. “Il sangue non mente e parla di noi... Potremmo dire che esso è un equivalente, un sembiante della nostra psiche. Ne è l’aspetto materiale, ‘liquido’“ (R. Ruga 2009, p.166)
Cosa si intende per legame di sangue?
Nella nostra cultura tradizionalmente il legame di sangue è alla base della cellula primaria della società, la famiglia. Difatti gli appartenenti ad una stessa famiglia sono definiti ‘consanguinei’. Molti antropologi sostengono la tesi che il termine dovrebbe essere interpretato in senso metaforico perché esistono molte società non occidentali nelle quali l’appartenenza non deriva dal legame di sangue ma dalla discendenza da un animale totem, da affinità particolari, da differenti modalità di declinare i rapporti parentali, ecc. Fatto sta che, chez nous, il legame di sangue, e conseguentemente la condivisione del codice genetico, non è un dato neutro ed ha un’importanza rilevante per i membri di una famiglia oltre che da un punto di vista biologico, sociale, giuridico, economico, ecc. e anche psicologico. Un’importanza ed una sorta di predeterminazione che, a volerla guardare in una dimensione mitica e collettiva, sembra rimandare al fato, così come viene rappresentato nel mondo classico. Fato come contesto nel quale diamo forma al nostro destino.
Mi ha colpito il fatto che, cercando materiale per questo articolo, digitando “legami di sangue aspetti psicologici” ho trovato materiale riferito all’attaccamento, al diritto alle origini ed alla genitorialità, una grande quantità di articoli giuridici e sociologici ma poco sui contenuti più profondi, sulle immagini, sui fantasmi, sulle paure. .. Eppure Il legame di sangue sta all’origine, prima di una coscienza individuale, è un legame genetico, fondante e vincolante (secondo il giochetto fonico ‘legàmi e lègami’) (R. Ruga 2009). Può essere addirittura indotto, come nella cultura, o meglio sottocultura, mafiosa, che dal sangue e dalla consanguineità cerca di guadagnare una dimensione simbolica. Il legame di sangue può essere paragonato al legame analitico (R. Ruga, 2009): il sangue come il transfert che lega paziente ed analista, il sangue come elemento inconscio che scorre silenziosamente e nutre. Quando parliamo di legami di sangue parliamo di legami inconsci, che agiscono senza che la persona se ne renda conto. Sempre Ruga parla di legami archetipici. «(... ) un legame di sangue può essere considerato un legame di natura archetipica che ci narra un mito del quale noi, insieme alla nostra famiglia, siamo i protagonisti. » (R. Ruga, 2009, p. 154). Nel legame di sangue non ha importanza la volontà o la personalità dell’individuo, ciò che vige è un determinismo collettivo di partenza, da cui l’individuo maturo può riscattarsi nel suo processo di individuazione. Del resto i processi biologici con la loro estrema concretezza rimandano ad aspetti che sfuggono ad una totale comprensione logica. Sappiamo che quello corporeo è sicuramente il più arcaico sistema attraverso il quale la psiche esprime i suoi contenuti ed i suoi affetti in maniera diretta senza la mediazione della parola. Quando parliamo di comunicazione primitiva ci riferiamo a quella comunicazione tra i corpi che avviene nell’utero e che è una comunicazione esclusivamente somatica per cui il tono della voce, il ritmo cardiaco, la temperatura, il tono muscolare della madre (derivanti per la madre stessa dai suoi affetti) interagiscono ed hanno effetto sul corpo del feto e sulla sua crescita, sui suoi movimenti, sulle sue espansioni che sono tutte in maniera circolare reazioni ed azioni, in un dialogo somatico tra feto e madre. Ci riferiamo quindi ad esperienze precoci che derivano dal corpo in contatto con un oggetto. Parlando di sangue come portatore di patrimonio genetico, non parliamo di un oggetto esterno ma di un oggetto/origine interna che impronta e promuove l’esistenza. Ci addentriamo nel campo del ‘mistero’, un campo inconscio, immaginale ‘pre’ tutto: non solo pre-mentale, pre-linguistico, pre-simbolico, pre-relazionale, pre-culturale, ma potremmo dire addirittura pre-somatico (prima cioè della formazione di un soma).
Siamo nel campo della rappresentazione. Nel mondo della rappresentazione si entra attraverso l’esperienza corporea. L’emisfero destro contiene la mappa più completa ed integrata del corpo, disponibile per il cervello. «Parafrasando Kernberg pensiamo al corpo come ad una configurazione geografica di significati personali» (M. A. Favasuli, 2010). Il termine ‘capacità rappresentazionale’ fa riferimento alla organizzazione, sotto forma di immagini a tonalità affettiva, di esperienze sensoriali e corporee che, come sappiamo, sono centrali nello sviluppo ontogenetico. Il termine stesso rappresentare = re-praesentare, implica una nuova presentazione, una riproposizione della alterazione derivante dalla percezione di un oggetto. Il mondo rappresentazionale poggia sulla stratificazione dei corpi, delle sensazioni corporee, corpi che sono «“veicoli di messaggi profondi che vanno oltre la materia, la presenza, l’assenza… le rappresentazioni vengono costruite sempre dall’esperienza del Sé di “essere con un altro”» (M. A. Favasuli, 2010). Lo spazio della rappresentazione si colloca tra corpo biologico e corpo vissuto, quasi uno spazio transizionale, occupato da prodotti che non stanno né dentro né fuori, fenomeni ‘misteriosi’ dati dall’immaginazione creativa ed intuitiva e dalla comprensione emotiva. Le rappresentazioni sono sostenute e dominate dalle emozioni, si iscrivono nel sistema implicito della memoria, che non è oggetto di ricordo e non è verbalizzabile (in contrapposizione con la memoria esplicita che è molto più evoluta, dichiarativa, a lungo termine, alla base dell’identità e della storia personale, verbalizzabile e che permette quindi il ricordo). È un’attività psichica basata sulla familiarità piuttosto che sulla capacità di ricordare, in cui funziona l’analogia più che l’identità, un’attività inconscia e preriflessiva. Siamo nell’ambito del “conosciuto non pensato” di cui parla Bollas (C. Bollas, 1987), una forma di pensiero non ancora sognata, né immaginata, non realizzata mentalmente, non ancora conosciuta neanche tramite le fantasie. Un sapere del quale non c’è rappresentazione mentale e che tuttavia porta in sé il desiderio di diventare pensiero. Molti autori si sono interessati a questa tematica e a questo passaggio, anche se focalizzato prevalentemente sui primissimi contatti corporei tra feto e corpo materno. Qui stiamo cercando di spingerci oltre, di andare ancora più indietro, al contatto iniziale da cui nasce la vita. – Atwood e Storolow (1992) parlano di inconscio preriflessivo, riferendosi all’attività di quei principi organizzatori dell’esperienza che operano al di fuori della consapevolezza dell’individuo e ne modellano le esperienze stesse. Pongono inoltre l’accento sulla dimensione che potremmo definire intersoggettiva dell’inconscio – Stern (2005), le cui tesi affondano le radici teoriche nella fenomenologia e derivano dal bambino osservato e non dal bambino clinico della psicoanalisi classica, riferendosi all’aspetto implicito ed esplicito dell’esperienza psichica, parla di un inconscio implicito, di un conoscere che è «non-conscio». Per lui la mente dell’individuo evolve da una matrice intersoggettiva, dall’esperienza fenomenica dell’essere-con ed è il frutto della co-creazione, del dialogo continuo con la mente degli altri. – Mancia (2008) parla di inconscio non rimosso riferendosi alla sedimentazione di tutte le tracce mnestiche, anche le più arcaiche, (prevalentemente corporee) depositate nella memoria implicita che costituiscono un inconscio precoce, la struttura portante, il marchio che condizionerà la vita affettiva, emozionale e cognitiva dell’individuo. Sono tracce non verbalizzate e non verbalizzabili, che non possono essere rimosse perché antecedenti non solo allo sviluppo del linguaggio ma proprio alla formazione di quelle strutture ippocampali preposte alla conservazione della memoria. Anche per Mancia l’inconscio non rimosso è qualcosa di intrinsecamente relazionale perché il suo contenuto è rappresentato dalle esperienze di relazioni precoci dissociate, come già detto, dalla memoria esplicita autobiografica. Tutti questi autori sottolineano il riferimento al corpo ed una matrice di intersoggettività. Questo mi pare si possa associare, con un affiancamento, lo riconosco, un poco ardito, a quella che in neuropsicologia è detta “conversazione tra sistemi limbici” (R. Buck, 1994) che è un sistema di comunicazione spontanea, emotiva, a base biologica e che costituisce una sorta di unità biologica (Buck e Ginsburg, 1991) tra gli individui. In ambito clinico c’è un rimando al controtransfert somatico e ad un interessante articolo di Salvatore Martini (2017) in cui l’autore, riferendosi al controtransfert somatico appunto, lo accosta alla kleiniana identificazione proiettiva, alla “infezione psichica”, di cui parla Jung in Psicologia della Traslazione e all”’influenza quasi chimica” di cui sempre Jung parla in Problemi della Psicoterapia Moderna, descrivendo l’incontro tra due personalità come la “mescolanza di due diverse sostanze chimiche”. Gli organi quindi, e i processi chimici che in essi avvengono, sono visti come veicoli di conoscenza del mondo interiore, capaci di accompagnare l’analista a percepire se stesso in connessione con il mondo interno del paziente, e ci danno informazioni. E qui una breve digressione sul termine in-formare. In-formare significa formare dentro, cioè dare forma, modellare, plasmare intrinsecamente. Nell’era dell’informazione il termine si è assestato sul suo significato più superficiale (mettere al corrente qualcuno di qualcosa) lasciando in secondo piano, ma non per questo in una condizione di inattività, il suo significato più profondo e strutturante, a conferma, da un punto di vista sociologico, di come l’informazione non sia mai neutra. Quando Buck parla di comunicazione tra sistemi limbici fa riferimento in particolar modo alla capacità del sistema limbico destro di decodificare gli stimoli in base alle reazioni emotive avvertite somaticamente (R. Buck, 1994). Questa osservazione è interessante in riferimento al tema che stiamo trattando, in quanto il fenomeno avviene nel biologico, nelle cellule, prima che se ne abbia una percezione somatica. Il fattore psichico e quello organico presentano una contemporaneità, siamo nell’ambito somatopsichico dell’archetipo, in “un’unità psicosomatica che possiede due aspetti; uno legato strettamente agli organi fisici, l’altro a strutture psichiche inconsce e potenziali” (M. Fordham, 1969, p. 83) L’attrazione verso il legame di sangue come origine biologica potrebbe nella sua rappresentazione essere il «luogo paradigmatico dove cogliere il complesso gioco tra inconscio e coscienza, tra corpo e pensiero, tra Sé e mondo» (M. A. Favasuli 2010) ed in cui si evidenzia la relazione tra i processi astratti e le esperienze corporee («un corpo abitato da una mente ed una mente informata ed animata dal corpo»). Un esempio per concludere tratto dal libro Les souffrances de Pinocchio di Brigitte Allain Dupré. Anja, una bambina di 7 anni, nella prima seduta di consultazione psicologica fa un disegno nel quale un principe è prigioniero di questioni misteriose che riguardano una storia di bambini rubati in un paese lontano. Sotto lo sguardo sorpreso dei genitori, che sono presenti alla seduta, Anja dimostra di essere a conoscenza, senza saperlo, di cose relative alla sua nascita ‘particolare’ (la sorella della madre in Polonia ha offerto il suo utero, la bambina è nata all’estero ma è stata dichiarata nel paese d’origine e risulta figlia della coppia). Il suo appare un sapere inconscio collegato alla memoria implicita del corpo. La consapevolezza di tutto ciò porta, in un’epoca nella quale i legami di sangue, la consanguineità, trovano inedite declinazioni (basti pensare agli scenari aperti dalle tecniche di PMA e dall’adozione internazionale), al dovere per noi terapeuti di sottolineare la necessità di un racconto che permetta di esprimere, ricercare, costruire nuove mitologie: un racconto metaforico che non si inscriva sotto la categoria vero/ falso ma che sia nell’ambito del possibile, del probabile. La metafora del resto non è assertiva, non è univoca, è una co-costruzione, è una condivisione tra colui che parla e colui che ascolta. E spesso, quando non è soffocata, saturata da un eccesso di concretezza, di informazione e di verità la facoltà immaginifica, mitopoietica dell’infanzia, sono proprio i bambini a reinventare il senso della loro storia, a tessere, a partire dal legame con il loro corpo ed il loro sangue, nuovi legami e nuovi racconti.
Allain-Duprè B., Les Souffrances de Pinocchio, Le Martin Pecheur, Paris 2019
Bach-y-Rita P. (1981), Brain plasticity as a basis of the development of rehabilitation procedures for
hemiplegia.Scand J Rehabil Med., 13(2-3):73-83.
Bion W.R., Attenzione e interpretazione, Armando Editore, Roma 1973
Bollas C. (1987), L’ombra dell’oggetto, Borla, Roma 1989
Buck R., The neuropsychology of communication: Spontaneous and symbolic aspects, Journal of Pragmatics
22 (1994) 265-278
Cantatrione R., Il sangue tra tradizione e attualità, Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e
Letteratura, vol.9 2009
Dell’Aquila E., Duval M. ., & De Lucia S. . (2022). “La potenza della parola”: come cambiamo nella
narrazione psicoterapeutica. TOPIC - Temi Di Psicologia dell’Ordine Degli Psicologi Della Campania, 1(1),
doi:10.53240/topic001.12. da https://topic.oprc.it/index.php/topic/article/view/22
Favasuli M.A., La Rappresentazione. Forme e contenuti della mente, Corpo Narrante, Numero 2, luglio 2010
Fordham M. (1969). Il bambino come individuo. Trad. it., Firenze: Sansoni, 1979
Giustino G., Further developments on the concept of fantasy. International Journal of Psychoanalysis
(2017). 98 (3):831-839.)
Imoda F., Sviluppo umano, psicologia e mistero, EDB, Bologna 2005
Jung C.G. (1946), Psicologia della traslazione
Jung C.G. (1954), Riflessioni teoriche sull’essenza della psiche
Jung C.G. (1921), Tipi Psicologici, Boringhieri
Klein M. (1946), Note su alcuni meccanismi schizoidi
Mancia M., Implicit memory and early unrepressed unconscious (how the neurosciences can contribute to
psychoanalysis). International Journal of Psychoanalysis, 87, 2006 pp 83-103.
Mancia M., Psicoanalisi e Neuroscienze, Springer Verlag, 2008
Marquardt E., My Daddy’s Name is Donor: A Pathbreaking New Study of Young Adults Conceived Through
Sperm Donation. Published January 1st 2010 by Broadway Publications Institute for American Values The
Commission on Parenthood’s Future Elizabeth Marquardt Norval D Glenn Karen Clark
Martini S., Quando l’analisi prende corpo. Il controtransfert somatico e il processo terapeutico, Rich&Piggle
2017;25(1):31-47, vol 25 2017
Montella P., Ruolo degli affetti nella formazione dell’immagine corporea, Rivista di Psicologia Analitica,
1995
Peruffo A., Il pensiero non pensato 3 D 6(2009) 233-243
Ruga R., Legami di sangue: “Di chi sei figlio?”, Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura,
vol 9, 2009
Salles V., Dal sangue alla rosa L’evoluzione umana oltre la famiglia, Giornale Storico del Centro Studi di
Psicologia e Letteratura, vol.9 2009
Schore A.N., Scoperte convergenti sul tema della identificazione proiettiva, in Being Alive. Building on the
work of Anne Alvarez, Judith Edwards Ed, New York 2001
Siegel D.J. (1999), La mente relazionale, Cortina, Milano 2013
Stern D. (1999), Il mondo interpersonale del bambino, Boringhieri, Torino 1999
Stern D., Il momento presente in psicoterapia e nella vita quotidiana, Raffaello Cortina, Milano 2005
Stolorow R.D. - G.E. Atwood, I contesti dell’essere. Le basi intersoggettive della vita psichica, Bollati
Boringhieri, Torino 1995
Verrier N. , The Primal Wound , 2009
https://www.stateofmind.it/2020/04/stern-esperienza-esplicita-implicita
Documentari: Anonymous Father’s Day (2011); Eggsploitation (2013); Breeders: A Subclass of Women?
(2014)
https://www.spiweb.it/la-ricerca/ricerca/inconscio-non-rimosso-cura-di-g-giustino/
Giustino G, Inconscio Non Rimosso