La guerra in Europa: effetti e reazioni psicologiche
Aristide Saggino
La guerra tra la Federazione russa e l’Ucraina ha avuto, e continua ad avere, un enorme impatto economico e geopolitico a livello planetario: gli aspetti psicologici sono spesso strettamente connessi a quelli geopolitici, militari, strategici e tattici. Analizzare gli aspetti psicologici di questa guerra nel cuore dell’Europa è compito fondamentale per comprenderla appieno.
La guerra dell’informazione e la guerra psicologica
La guerra psicologica fu utilizzata per la prima volta in modo massiccio dagli alleati durante la Seconda Guerra Mondiale: vennero lanciati volantini propagandistici sulle truppe nemiche; i militari erano invitati a disertare in cambio di una serie di vantaggi e veniva comunicato il messaggio che non avevano alcuna possibilità di vincere la guerra. Un secondo utilizzo fu la tecnica adottata dagli inglesi prima dell’invasione della Normandia, quella cioè di costruire armi finte per dare la falsa impressione di avere un numero maggiore di armi. Non a caso questi due esempi di tecniche di guerra psicologica sono stati imitati da entrambi i contendenti nella guerra della Federazione russa contro l’Ucraina. La guerra dell’informazione è parte della guerra psicologica ed oggi è sempre più importante, quasi come l’avere un esercito meglio armato ed addestrato. La guerra psicologica è costituita da diversi aspetti: utilizzo dei media (oggi soprattutto del web e dei social), tipo di informazioni che vengono veicolate dai media e comunicazione verbale e non verbale associata alle informazioni veicolate. Ovviamente, la guerra psicologica si pone l’obiettivo di portare le persone a credere a determinate informazioni, indipendentemente dal fatto che esse siano vere oppure no. Analizziamo quale esempio il comportamento durante questa guerra dei due leader, Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin. Le informazioni che ci sono arrivate ci hanno dato un quadro opposto, a livello psicologico, dei due leader. Zelensky lo abbiamo percepito come dinamico: visita le truppe al fronte con coraggio, ogni giorno comunica con gli ucraini fornendo loro informazioni sulla guerra, è molto attivo sul piano politico, spesso in viaggio per parlare con i capi di stato di mezzo mondo, è supportivo verso i propri concittadini. Putin è stato percepito esattamente all’opposto: rinchiuso nei suoi bunker, raramente visita le truppe al fronte, incontra gli altri capi di stato in teleconferenza (anche perché è ricercato dalla Corte penale internazionale e, quindi, rischierebbe di essere arrestato), sembra intimorito dal rischio di perdere il potere e la vita. Zelensky appare giovane nel suo attivismo, Putin sembra malato ed invecchiato. Probabilmente, non tutte queste informazioni sono vere, ma senza dubbio Zelensky sembra più dinamico e più comunicativo. In Occidente quasi tutti siamo convinti che Zelensky abbia già vinto la guerra psicologica, proprio perché la sua comunicazione, e quella dei suoi alleati occidentali, ci ha convinti di questa diversità a suo favore. La differenza nei comportamenti tra i due leader potrebbe essere in gran parte reale, ma conta quello di cui siamo convinti, ossia la nostra percezione dei fatti, non la realtà oggettiva. E in questo Zelensky e gli ucraini hanno fino ad ora vinto, anche sicuramente per merito dei servizi occidentali (soprattutto americani) che hanno maggiore esperienza nella guerra psicologica di informazione e controinformazione. I russi hanno condotto una guerra ibrida non solo contro l’Ucraina, ma anche contro i suoi alleati, utilizzando anche attacchi cognitivi. Pocheptsov (2018, pag. 37) li definisce come segue: “Un attacco cognitivo è finalizzato alla trasformazione della comprensione e dell’interpretazione della situazione da parte di un individuo e nella coscienza di massa”, in altre parole, a condizionare gli individui e la società, con le metodologie descritte da George Orwell nel suo romanzo 1984 (1949). Le guerre cognitive sono tali proprio perché sono combattute nel mondo dell’informazione e nel mondo virtuale. Hanno l’obiettivo di costruire una realtà alternativa e di convincerci che sia vera. L’obiettivo della guerra ibrida russa è stato sin dall’inizio lo stesso: convincerci, cambiando anche le parole (non si tratta di “guerra”, ma di “operazione speciale”) che la guerra non sia stata determinata dalla Russia. Insomma, come in un romanzo ucronico (‘ucronia’ è quel sottogenere della letteratura fantascientifica che ipotizza e descrive realtà storiche alternative) si cerca di trasformare la realtà o meglio la percezione della realtà. L’identificazione dell’avversario di turno come un nemico, colpevole della guerra, rappresenta l’obiettivo principale delle guerre ibride. Peccato (ovviamente per chi crede nelle guerre ibride) che le realtà politiche, economiche e sociali siano più forti ed abbiano un impatto maggiore sulla percezione sia degli individui che delle masse. Alla fine, se i cittadini non trovano più ricambi per le loro auto e non le possono neanche sostituire a causa delle sanzioni, dubito fortemente che la guerra ibrida possa modificare questi eventi della realtà concreta quotidiana a favore di una realtà alternativa nella quale i ricambi per le proprie auto si trovano e sostituirle è facile e a buon prezzo. I fatti hanno la testa dura. Dal punto di vista del diritto internazionale c’è poco da dire. L’Ucraina è una nazione riconosciuta a livello internazionale (perfino dalla Federazione russa) e chiunque, per qualsivoglia ragione, aggredisce una nazione riconosciuta a livello internazionale si mette automaticamente dalla parte del torto, anche se avesse motivi validi, in quanto l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) non riconosce la guerra come strumento per la risoluzione dei conflitti tra le nazioni. Davanti ad una realtà oggettiva così chiara, la guerra ibrida, basata notoriamente su fake news, ha effettivamente poche speranze, perché la realtà vince sempre sulle costruzioni virtuali. È un po’ come quando ci risvegliamo da un incubo. Alla fine, la realtà prende il sopravvento. La guerra ibrida condotta da Putin nei confronti dell’Ucraina ha utilizzato i bias cognitivi per modificare la coscienza delle masse. Queste considerazioni sono riprese da Pocheptsov (2018). Sono basate sulla invasione di Putin della Crimea del 2014, ma sono assolutamente valide anche per la nuova invasione del 2022. Pochetsov è un professore universitario ucraino esperto di media. Uno degli obiettivi consisteva nell’evitare che gli ucraini percepissero la Federazione russa come un nemico, utilizzando il vecchio mito sovietico di “due popoli fratelli”, entrambi slavi. A questo fine la Russia comunicava (soprattutto agli ucraini) l’esistenza di due realtà in Ucraina: una popolazione costituita da brave persone e un potere malvagio (nazista addirittura, secondo la narrativa putiniana) che li dominava e contro il quale Putin combatteva. Putin ha utilizzato diversi strumenti di guerra ibrida contro la popolazione ed il governo legittimamente eletto, tra i quali: modificare il linguaggio utilizzato per descrivere ciò che stava avvenendo così da cambiarne la percezione (l’ invasione dell’Ucraina è stata descritta come “operazione speciale”); costruire e diffondere informazioni false allo scopo di confondere e rafforzare la propria narrazione; organizzare false manifestazioni e proteste in Ucraina ad utilizzo della propaganda televisiva di Putin. Il governo ucraino ha ovviamente preso dei provvedimenti quali limitare o vietare la propaganda TV pro-Putin in Ucraina. Ciò ha contribuito a ridurre i danni di questa propaganda ingannevole.
Un’altra tecnica “confondente” utilizzata da Putin è stata quella di inviare militari senza insegne, che potevano essere facilmente confusi con cittadini ucraini, o truppe ufficialmente non connesse al regime, come la compagnia Wagner. Un esempio di fake news che si ritorcono contro chi le prepara viene riportato da Pocheptsov (2018): un conduttore televisivo russo, Kiselev, mostrava un certificato di appartenenza alle SS di una persona apparentemente ucraina allo scopo di comprovare i legami dell’Ucraina con i nazisti, però il certificato era scritto in tedesco moderno e non nel modo in cui i tedeschi utilizzavano la propria lingua all’epoca della Seconda Guerra Mondiale. Di seguito un elenco di ulteriori bias utilizzati nella guerra ibrida di Putin (Pocheptsov, 2018):
1 pregiudizio di ancoraggio: dare per primi una interpretazione della guerra, così che sia più difficile modificarla;
2 percezione selettiva: far sì che i cittadini percepiscano solo quella parte della realtà che conviene alla Federazione russa;
3 euristica della disponibilità: se tutti i canali russi ti danno le stesse informazioni i cittadini pensano di avere accesso a tutte le informazioni disponibili; difficile in altre parole che tutti i canali ti diano informazioni false;
4 effetto carrozzone: fa sì che il pensiero gruppale impedisca il pensiero individuale;
5 bias del punto cieco: vediamo gli errori solo negli altri e nei loro punti di vista e comportamenti.
Pocheptsov (2018), riferendosi all’invasione del 2014, conclude dicendo che la guerra ibrida di Putin può essere molto efficace. Forse è vero, ma riflettiamo sulla enorme ed imprevista resistenza ucraina dall’invasione del 2022 ad oggi.
Gli errori psicologici di Putin
Una domanda riguardante la guerra in Ucraina, di grande interesse anche per gli storici del futuro, è: come ha fatto Putin a commettere l’errore di pensare che gli ucraini non si sarebbero difesi e avrebbero ceduto rapidamente, nonostante avesse a disposizione servizi segreti presumibilmente efficienti (Stirpe, 2023)? I vari analisti hanno dato risposte sul piano politico – militare, ignorando gli aspetti psicologici. Putin è un uomo solo al comando e ciò rappresenta all’inizio un grande vantaggio che poi alla fine si trasforma in un grande svantaggio. L’uomo solo al comando sceglie i suoi collaboratori in base al rapporto personale che hanno con lui, non in base al merito: collaboratori scelti in questo modo non sono in grado di dire di no al capo per timore delle sue reazioni se lo si contraddice. Di conseguenza, tutte le informazioni contrastanti con la visione del capo gli vengono poco o per niente riferite, con la conseguenza inevitabile che le decisioni sono spesso sbagliate a causa della mancanza di informazioni corrette. Non si spiegano altrimenti, dal punto di vista militare, gli errori colossali commessi dall’Armata russa, soprattutto nelle prime fasi dell’invasione. Non è un caso se, quando una persona si rivolge a noi psicologi perché sta attraversando un periodo di crisi, facciamo il possibile per evitare che si chiuda in se stessa e consigliamo di ascoltare ciò che gli altri pensano della situazione. In tal modo, la persona avrà maggiori informazioni e, con l’aiuto dello psicologo, potrà prendere le decisioni migliori.
La minaccia nucleare
Strielkowski (2022) sostiene che una guerra nucleare quale seguito o conclusione della guerra in Ucraina è improbabile se si utilizzano le conoscenze derivanti dall’economia e dalla teoria dei giochi, anche se diversi analisti la pensano diversamente (ad esempio, Herszenhorn, 2022, cit. in Strielkowski, 2022), La guerra nucleare, per questo autore, costituisce solo una minaccia per tenere alta la tensione e per valutare se una delle parti coinvolte, credendola possibile, cede addivenendo a posizioni più accomodanti. La verità è che nessun paese al mondo può permettersi una guerra nucleare, in quanto ne pagherebbe amaramente le conseguenze. Il vincitore, ammesso che ve ne possa essere uno, nella migliore delle ipotesi sarebbe costretto a vivere in bunker per molto tempo. E qui si pongono due domande fondamentali:
1) Quale sarebbe la tenuta psicologica di chi è costretto a vivere in queste condizioni?
2) Come si comporterebbero i subalterni (militari etc.) nei suoi confronti in condizioni fino ad oggi mai sperimentate? Continuerebbero ad ubbidirgli?
Gli effetti psicologici della guerra
Shevlin, Hyland e Karatzias (2022) in un editoriale su invito su Acta Psychiatrica Scandinavica hanno fatto il punto sulle conseguenze psicologiche della guerra in Ucraina, riassumendo una serie di studi. I dati sintetizzati da questo editoriale possono essere riassunti nella loro drammaticità come segue:
1) l’Ucraina ha circa 44 milioni di abitanti, di cui 7 milioni sono stati costretti ad emigrare in altri paesi a causa della guerra ed altri 8 milioni a spostarsi internamente ai confini dell’Ucraina: a questi è necessario aggiungere altri 2 milioni che si sono spostati all’interno dell’Ucraina in seguito all’ aggressione russa del 2014;
2) dopo l’invasione da parte della Federazione russa del 2014 fu effettuata una ricerca (Internally Displaced Persons Mental Health Survey in Ukraine) su 2000 ucraini che erano stati ricollocati all’interno della loro nazione a causa della guerra. Ebbene, i risultati sono stati devastanti. Tanto per citare alcuni esempi, il 21% presentava una diagnosi di disturbo da stress postraumatico, il 18% di ansia, il 22% di depressione ed il 55% somatizzazioni. Inoltre, circa i tre quarti di queste persone non disponevano di alcuna assistenza specialistica. Questi dati possono essere ovviamente utilizzati come stime per prevedere gli effetti psichiatrici e psicologici della nuova aggressione all’Ucraina da parte della Federazione russa.
L‘invasione dell’Ucraina non ha influenzato solo la salute mentale degli ucraini. Østergaard, Rohde e Jefsen (2022) hanno analizzato in Danimarca i dati del Danish Electronic Patient Record System (16.000 pazienti), scoprendo che un numero significativo di pazienti aveva utilizzato la parola Ucraina nel descrivere i propri problemi con ciò significando l’importanza della guerra per il loro vissuto personale. Questi pazienti associavano la guerra ad un peggioramento delle proprie condizioni mentali. Dati significativi possono essere ricavati da situazioni passate, ma simili all’attuale invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa. Shevlin e McGuigan (2003) in uno studio effettuato in Irlanda del Nord, paese che è stato notoriamente afflitto per decenni da una vera e propria guerra civile, hanno trovato evidenza di trasmissione del trauma psicologico, sia a livello familiare che intergenerazionale. In uno studio longitudinale di 24 anni sul disturbo da stress post-traumatico complesso (CPTSD) Zerach, Shevlin, Cloitre e Solomon (2019) hanno scoperto che il 40% dei prigionieri di guerra israeliani sottoposti a tortura e ad isolamento in seguito alla guerra del 1973 (guerra dello Yom Kippur) 20 anni dopo continuavano a soffrire di sintomi compatibili con la diagnosi di CPTSD. Questo disturbo è stato introdotto, insieme al disturbo da lutto prolungato (PGD), nella versione 11 dell’International Classification of Diseases della Organizzazione Mondiale della Sanità (ICD 11; World Health Organization, 2018). Entrambe queste nuove diagnosi sono utili indicatori dei disturbi psicologici di guerre quale quella scatenata dalla Federazione russa. Cosa ci dicono in sintesi questi dati? Semplicemente che gli effetti di una guerra sono a livello psicologico altamente destabilizzanti sia nei civili che nei militari, duraturi nel tempo e difficili da superare. Dobbiamo aggiungere altro? Forse sì: russi ed ucraini sono stati popoli affratellati da una storia comune. Basti pensare al fatto che molti ucraini parlano russo. Cittadini russi hanno parenti in Ucraina e viceversa. Ma gli ucraini del futuro, ossia quei bambini che hanno vissuto questa guerra e ai quali sono stati tolti genitori o nonni o sorelle o fratelli, distrutte case e bombardate le scuole, quando diventeranno adulti quali emozioni proverranno per il resto della loro vita nei confronti dei russi? E i russi nei loro confronti? E per quanti decenni tutto ciò durerà rovinando le relazioni tra questi due popoli ed il futuro dell’Europa e non solo?
Conclusioni
Il fatto è che le guerre oggi si vincono non sul breve, ma sul medio o lungo periodo ed il perderle o vincerle è una combinazione non solo di conquiste militari, ma di strategia, tattica, psicologia e geopolitica. Utilizzo un esempio: la seconda guerra americana contro l’Iraq fu vinta facilmente, ma gli americani non riuscirono mai a conquistare effettivamente tutto l’Iraq e furono costretti a vivere in cittadelle ampiamente fortificate. Avevano vinto militarmente, ma erano stati in realtà sconfitti non potendo controllare il paese. Allo stesso modo, anche se Putin conquistasse tutta l’Ucraina, avrebbe perso per le seguenti ragioni:
1) avrebbe impiegato circa due anni a dominare l’Ucraina (che certamente non è la nazione militarmente più forte del pianeta, con tutto il rispetto per l’enorme coraggio degli ucraini), evidenziando così le carenze organizzative dell’esercito e la scarsa efficienza/efficacia delle armi e delle dotazioni (a differenza di quello che si pensava prima di vederle sul campo) e ciò contribuirebbe ad intaccare non poco anche il suo prestigio personale. Se non avesse fatto questa guerra probabilmente tutti questi difetti non sarebbero apparsi chiaramente;
2) ha spaventato con la sua “operazione speciale” paesi neutrali quali la Norvegia e la Svezia che hanno immediatamente chiesto di entrare nella NATO. La Norvegia ci è anche riuscita. La conseguenza è che Putin, che ha affermato di aver fatto questa guerra anche per evitare che l’Ucraina entrasse nella NATO, si trova circa 1340 km. di frontiera in più in comune con paesi NATO;
3) ha compiuto il miracolo di far sì che il popolo ucraino, culturalmente e storicamente molto vicino alla Russia, odierà i russi per decenni a venire;
4) ha aumentato la percezione di insicurezza economica dei russi a causa delle sanzioni e dell’economia di guerra (risorse tolte alla popolazione per essere utilizzate per la guerra);
5) ha spaventato migliaia di cittadini della Federazione, soprattutto giovani con un buon livello di istruzione, che sono andati all’estero, privando la Federazione di fresche risorse intellettuali.
Ci siamo limitati a cinque ragioni, ma ne potremmo aggiungere molte altre: il numero di morti e feriti tra i giovani militari da entrambe le parti, le distruzioni di città ed i morti e feriti tra i civili, in Ucraina soprattutto, ma anche in Russia. Come tutto questo potrebbe essere una vittoria per Putin è francamente incomprensibile. Come diceva il filosofo George Santayana: “Quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo” (Spagnol, 2009).
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