Occhi di natura
Hanna Fridriksdottir
Il silenzio ronzante delle cicale era il preludio di questa matinée colma di luce e di natura nel cuore della Ville Lumière. La luce accarezzante filtrava tra i rami in fiore e si mescolava armoniosamente ad altri profumi. Quell’olezzo romantico e salutare allo spirito, ogni anno si sprigiona come per magia nell’aria pesante dopo il freddo invernale e regala ai sensi un’avventura sempre diversa, un viaggio olfattivo nel tempo infinito della bellezza. Una giovane donna dall’aria leggermente malinconica ma serena completava l’accordo della soave scena. Aveva la primavera nei capelli. Osservando i libri posti nella vetrina, aveva catturato il proprio riflesso e vedeva, con grande meraviglia, la sua chioma fiorita con i fiori del ciliegio, Sakura, come si chiamano in giapponese. La città, infatti, in quei giorni era una performance di colori, in cui spiccava il leitmotiv del rosa del ciliegio. Non era mattiniera di natura, ma nonostante ciò, era affascinata dalle atmosfere del mattino. Quel giorno le fu più chiaro che mai perché Hemingway amava tanto quest’ora: era quella migliore per inseguire brandelli di mondo intatti dal tempo. Era stata talmente precipitosa ad arrivare alla libreria oggi, che non aveva prestato attenzione agli alberi in fiore, ai gatti, ai piccoli café profumati o ad altri miracoli di bellezza, incluso l’albero che si trovava ora alle sue spalle, sorgente del suo riflesso. E ora trovava i suoi fiori intrecciati nei capelli, come se le stessero dicendo: «Ma è possibile che oggi non avevi ancora pensato ad ammirarci? ». E avevano perfettamente ragione. Come aveva fatto a non vederli prima, anche con la coda dell’occhio? si chiedeva. Certo i fiori sono come la natura, non chiedono di essere visti. Sono delle bellezze silenziose e umili, pronte ad accogliere il nostro sguardo vagante e guidarlo dolcemente nel regno infinito dei loro amorevoli colori e profumi. Pensava quanto fosse meraviglioso, che esistesse proprio un termine in giapponese per descrivere l’osservazione dei fiori, in particolare quella del ciliegio, Hanami. Suona un po’ come “amami! ”. Sicuramente l’imperativo non è da fiori, ma l’espressione indica comunque un invito a guardarli, ad amarli con gli occhi. Durano poche settimane e quindi ogni carezza degli occhi diventa ancora più preziosa, con la consapevolezza di non vederli poi fino all’anno seguente e pure allora per poco. Questo vale per chi vive a Parigi. Lei si trovava invece in quella città per una tesi di laurea in letteratura presso la Sorbonne Université e chissà fra un anno dove sarebbe stata in primavera. Improbabilmente ad ammirare i fiori qui come oggi. Anche in questo caso voleva distillare al massimo il momento, in modo che la sua anima e il suo cuore potessero sorseggiare l’elisir della primavera in tutte le stagioni della vita e in qualsiasi luogo. Di solito stava molto attenta alle bellezze naturali che si presentavano davanti ai suoi occhi, e la vetrata con i libri era tra le pochissime distrazioni che poteva immaginare di ritenere giustificabili per questa sua svista. I libri e le librerie per lei rappresentavano grandi passioni. Pensava che di quelli il mondo non si sarebbe saziato mai… o almeno lo sperava profondamente. A Parigi c’erano tante librerie, forse non quante le farmacie, ma si facevano una stuzzichevole concorrenza, “duettando” da rivali: “mens sana in corpore sano”. Ora che si era accorta della presenza del ciliegio in quel modo inaspettato e simpatico – che pareva un incrocio tra un object trouvé surrealista e una testa composta di Arcimboldi – diventava ancora più prezioso e significativo questo momento. La cosa più bella di questa città, in effetti, è come si presta bene alle flâneries, quelle passeggiate senza meta, guidate meramente dal profondo desiderio di meravigliarsi anche delle cose più inaspettate, delle virgole che non si vedono, ma che danno ancora più senso alle frasi. Forse l’allegria dei fiori del ciliegio - così luminosi ma fragili - era dovuta alla loro consapevolezza dell’esistenza fugace, e quindi sorridevano con la massima solarità e amore al mondo. Che la vita segreta e misteriosa delle piante includa anche quella capacità oppure no, rimane una questione intima loro. In ogni caso porgevano in maniera graziosa – ma non per quello meno convincente – la metafora della vita, quell’attimo di luce e di bellezza più o meno sospeso, ma sempre inafferrabile se non a uno sguardo persistentemente tenero e meravigliato. Mirando i dolci rami ricoperti di sakura, che si allungavano verso il cielo, intravedeva un movimento saltellante tra di loro. I suoi occhi contemplanti si adattavano rapidamente a questo ospite inatteso. Quasi immediatamente capiva che era un merlo, perché avviava il suo canto inconfondibile, quelle frasi lunghe e varie, improvvisate con tanto vigore e precisione, mai uguali, sempre gioiose. Non avrebbe potuto immaginare un’interruzione così piacevole nell’aria silenziosa. Incredibilmente calma per essere Parigi si direbbe? Ma Parigi è tante cose, vi si trovano anche dei silenzi sublimi e forse il loro incanto è dovuto al fatto che a volte li trovi nei posti dove non te li saresti mai aspettati. È come se quel piccolo ma grande cantante avesse chiesto il silenzio per il suo concerto mattutino, ricordando al mondo quante belle parole e musica ne possono nascere. Quando incontrava la natura in città, la ammirava in modo particolare per la sua eroica autopoiesi, e questo la faceva sentire meno estranea alla creazione e allo stesso tempo più unica. Aveva pensato di dedicare tutto il giorno successivo all’ammirazione dei fiori del ciliegio alla Square Paul-Langevin, intervallando la sua contemplazione alla lettura del libro che oggi era venuta in libreria per comprare: Lezioni americane di Italo Calvino in traduzione francese, perché desiderava percepire le sue parole anche nella lingua di Charles Baudelaire. Il suo modo di associare la leggerezza con la “precisione e la determinazione” nella prima lezione, per lei era stata una rivelazione quando l’aveva letto la prima volta a bordo di un treno guasto in mezzo a una palude. Simile alla sensazione di quando si esce fuori da una nebbia fitta e ci si ritrova all’improvviso abbracciati dai raggi del sole, oppure come svegliarsi una mattina con un haiku in mente che sembra racchiuda l’essenza più limpida dell’esistenza. Il merlo meditativo, aggrappato delicatamente al suo ramo in fiore, sembrava una raffigurazione delle parole di Paul Valéry: «Il faut être léger come l’oiseau et non comme une plume». «Bisogna essere leggeri come l’uccello e non come la piuma». Proprio in quella frase si cristallizza il senso della leggerezza di Calvino. La leggerezza in italiano ha un suono e sostanza, in francese un altro… forse ancora più leggero. Quella del merlo però è una con il suo canto universale. Guardavano i fiori tutta la mattina, e loro si accontentavano di essere osservati o almeno così pareva. Ogni tanto passavano lentamente delle nuvole come spinte da un senso misterioso, forse quello della bellezza. Nel pomeriggio è arrivato un temporale.
Italo Calvino, Lezioni americane (19), 2015 by Eredi Calvino e Mondadori Libri S.p.A., Milano.
Paul Valéry, Choses tues, 1932, Gallimard.