Il sogno interrotto della scultura. Camille Claudel: l’artista “dimenticata” in manicomio
Rosa de Rosa
Recentemente ho visitato in Francia, a Nogent-sur-Seine, il Museo Camille Claudel1 (foto 1). Inaugurato nel marzo del 2017, ospita una preziosa collezione di sculture francesi della seconda metà del XIX secolo. Tra queste, ben 45 di Camille, dai primi lavori giovanili alle ultime esperienze. Il percorso espositivo mette bene in luce sia l’inquietante complessità della biografia sia l’incontenibile forza creativa della scultrice e offre originali riflessioni sul suo contributo all’arte francese di fine Ottocento, in particolare una sua inedita vena espressionista all’interno della corrente del nuovo realismo. Il tratto principale dell’opera di Camille Claudel è infatti la capacità di riversare nella materia grezza la propria inquietudine, trasformandola nell’inquietudine universale dell’animo umano. La scultura, per Camille come per Rodin, è lontana del resto dai canoni del realismo classico e della “scultura decorativa”. Finalmente forma, spazio e movimento descrivono corpo, carne e sangue, sottoponendo la materia a un processo di rivelazione della propria autoanalisi. Questa inquietudine ha certamente origine dal tormentato rapporto che ebbe con Auguste Rodin, il padre della scultura moderna, suo maestro e amante, del quale Camille si può considerare prima erede: un confronto/scontro, che se non ne compromise la lucidità creativa, mise però a dura prova il suo equilibrio psichico. La giovane scultrice ha da subito una vita complicata: dall’adolescenza a Nogent- sur-Seine, all’incontro con lo scultore Alfred Boucher, al trasferimento, nel 1880, nella grande Parigi, dove, essendo le accademie statali vietate alle donne, si iscrive all’accademia privata Colarossi (1881). «Rivedo – scriverà il fratello Paul – questa splendida ragazza nel fulgore trionfale della bellezza e del genio e l’ascendente, spesso crudele, che esercitò sui miei anni giovanili, come ce la presenta la fotografia di Cèsar (foto 2), quando, appena arrivata a Parigi, seguiva i corsi dell’atelier Colarossi» in rue Notre Dame-des- Champs2. Realizzerà, quell’anno, il primo busto del piccolo Paul (foto 3), ed esporrà le sue prime sculture alla Scuola Nazionale di Belle Arti. È qui, nel 1885, che incontra Auguste Rodin. Da allieva a modella, da collaboratrice ad amante, in circa 15 anni si consuma un rapporto travagliato tra due grandi personalità che condivisero tutto, anche il sogno di un matrimonio che non arrivò mai (nel 1864 Rodin aveva iniziato a convivere con una giovane cucitrice, Rose Beuret).
Ma Rodin vede Camille soltanto come sua musa ispiratrice e artista di talento, mentre l’allieva vuole sì apprendere i segreti della grande arte scultorea che il maestro rappresenta, ma si ritrova coinvolta in una passione amorosa competitiva e straziante. Eppure ama la vita e l’amore senza aspettarsi ricompense, sogna di essere riconosciuta per il suo impegno, per i suoi molteplici interessi, per la sua passione creativa. Invece nulla le sarà concesso, né all’artista né alla donna. Nel 1887 apre un suo studio, ed è qui che porta a termine la versione in gesso dell’opera Sakuntala. Negli anni successivi, fino al 1905, l’opera ebbe varie realizzazioni in marmo e in bronzo (foto 4). Ma mentre Auguste Rodin ottiene sempre maggiori successi e riconoscimenti, Camille, pur lavorando con enorme impegno, sprofonda in una solitudine fatta di rabbia e incomprensione: «Farà sempre sculture alla Rodin – diranno i critici – in fondo è sua allieva, sua musa ispiratrice e amante».
Della intensa attività di Camille, che aveva trovato nella scultura il proprio rifugio, ricordiamo opere oggi celebri, come il Busto di Rodin (foto 5), del 1886/88, ricordato da Paul Claudel, che lo aveva visto alla Gipsoteca di Copenaghen nel dicembre 1919. E poi La supplice (1890), Cloto, (1893), e il celebre originalissimo Il Valzer, 1889/1905 (foto 6), opera stilisticamente profetica, realizzata per l’amico Alfred Debussy, che la esponeva sul suo pianoforte. Due corpi nudi volteggiano trasportati dalla danza, l’uomo sostiene la donna cingendole la vita, lei nasconde il volto sulla spalla dell’uomo. Non c’è gioia né appagamento nell’unione della coppia, anzi, i due corpi sembrano rappresentati nell’attimo prima della caduta. Quando poi si allontanerà dalla vita e dal lavoro con Rodin, e trasferirà il suo studio in Rue de Turenne, l’isolamento sarà totale. Una storia dunque di passione, ma anche di rancore e competizione, di rinunce e umiliazioni, che si chiude nel 1898: Camille lascia Rodin e pone definitivamente fine alla loro storia (1889/1905). Nella solitudine che la nuova vita le riserva, ha inizio il cammino che la condurrà alla follia: abbandonata da critici, galleristi, dall’amico Debussy, dal fratello Paul, è sola, senza soldi, affetti, commissioni, riconoscimenti. L’ultima grande esposizione di sue opere, organizzata da Eugène Blot nel dicembre del 1905, arriva “troppo tardi” dirà Camille: è già malata, vittima di uno stato depressivo che la condurrà al “mal dell’anima”, l’isteria. Nel suo ultimo studio-rifugio, in Quai de Bourbon, in un impeto autodistruttivo, sfregia, a colpi di martello, gran parte delle sue opere3. Il padre, ultimo suo sostegno morale ed affettivo, muore il 3 marzo del 1913; pochi giorni dopo, il 10 marzo, Camille, per volontà della madre e del fratello Paul, sarà condotta a l’Asile d’Aliènes, il manicomio di Montdevergues, nei pressi di Avignone. Sulla sua cartella clinica la diagnosi è “Delirio persecutorio” e questa sarà l’inappellabile sentenza che la condannerà per il resto della vita. Scriverà dal manicomio tante lettere: al fratello Paul, a Rodin, agli amici, anche alla madre, della quale implora il perdono, lettere nelle quali rivive il tempo della sua giovanile creatività. Implora aiuto e non si rassegna alla vita da “alienata”. Una sua opera, L’implorante (o La supplice), del 1894/1905, contiene il presagio della condizione che l’attenderà, come Paul scriverà anni dopo: «Mia sorella... la superba, l’orgogliosa... si è rappresentata così, umiliata, in ginocchio e nuda! Quello che le viene strappato è la sua anima, il genio, la ragione, la bellezza, la vita, il nome stesso».
Per lunghi anni, per disposizione della madre (morta il 20 giugno del 1929), nessuna lettera fu mai inviata ai destinatari, ma tutte, conservate dall’amministrazione dell’ospedale, sono per fortuna giunte fino a noi4. In una lettera alla madre si legge: «Il mio posto non è in mezzo a tutto ciò, bisogna farmi uscire da questo luogo; dopo quattordici anni di una simile vita, oggi reclamo a gran voce la libertà»5. Camille Claudel muore il 19 ottobre del 1943, in una gelida camera per alienati. Del suo corpo non resta nulla, la tomba non esiste più, le ossa disperse, resta la scultura che continua a parlare di lei.
1 La casa in cui visse dal 1876 al 1879 Camille Claudel è un’ala del vasto edificio che ospita il Museo.
A Nogent-sur-Seine l’adolescente Camille riceve i primi insegnamenti nello studio dello scultore Alfred
Boucher.
2 Mia sorella Camille, a cura di Maria Antonietta Di Paco Triglia, Felici Editore Srl. 2003. Una raccolta di
Annotazioni di avvenimenti, pensieri e riflessioni su Camille Claudel venne scritta dal fratello Paul dal 1905
al 1952 e pubblicata da Gallimard.
3 Il Primo catalogo ragionato delle opere di Camille Claudel, curato da Reine-Marie-Paris, nipote della
scultrice, è stato realizzato solo nel 2000.
4 A partire dagli anni ‘80 del Novecento, grazie al ritrovamento della cartella clinica e del ricco epistolario,
le innumerevoli lettere che Camille Claudel aveva scritto e non erano state mai spedite, si farà luce sugli
ultimi trent’anni della sua triste esistenza.
5 Una prima ricostruzione della vita e dell’opera di Camille Claudel si deve alla regista teatrale Anne Delbèe
che nel 1982 mette in scena un testo Une femme e poi nello stesso anno pubblica il libro Una donna
chiamata Camille Claudel, Longanesi, 1988. Da questo testo il regista Bruno Nuytten nel 1988 realizzò
il film Camille Claudel, interpretato da Isabelle Adjani (Camille) e Gérard Depardieu (Rodin): un’opera di
successo che fece conoscere al grande pubblico la storia della scultrice francese troppo presto dimenticata.