Effetti psicologici dei social networks durante l’isolamento sociale
SANTO DI NUOVO, CAROLINA PATTI
Dopo una rassegna delle ricerche psicologiche sugli effetti positivi dei social networks, e su quelli negativi (ansia e ritiro sociale, immagine di sé e narcisismo, depressione), vengono riportati i risultati di uno studio che si propone di valutare l’impatto psicologico che l’uso delle reti sociali ha avuto durante il periodo di isolamento obbligatorio conseguente alla pandemia da CoVid-19. È stata indagata l’influenza di variabili demografiche (genere e occupazione) e di variabili di personalità e di disagio psicologico. Il campione era composto da 400 persone, di età compresa tra i 12 e gli 80 anni, 228 donne e 172 uomini, tutti utenti di social networks. I risultati dimostrano che le piattaforme digitali durante il periodo di lockdown hanno fornito un contributo positivo nel contrastare il senso di isolamento e il senso di solitudine; tratti di personalità come estroversione, apertura mentale e amicalità sembrano agevolare l’effetto positivo dei social per superare l’isolamento sociale e contrastare la solitudine; questo sembra avvenire soprattutto nei soggetti più ansiosi e tendenti alla depressione dell’umore.
- Social networks e vita sociale
I “nuovi media” permettono alle persone di superare i limiti della comunicazione faccia a faccia, soprattutto quelli di carattere spazio-temporale. L’esperienza diretta della relazione viene sostituita con attività cognitive e linguistiche mediate dal mezzo tecnologico, mettendo in discussione la soggettività corporea degli interlocutori, e modificando così la struttura stessa dell’esperienza relazionale.
Su questi temi il principale contributo della psicologia consiste nell’analisi dei processi di cambiamento attivati attraverso l’interazione tra le persone e i new media, con particolare riferimento ai “social networks”.
La definizione di social media riguarda le applicazioni basate sui presupposti tecnologici del Web che consentono la creazione e lo scambio di contenuti prodotti e condivisi volontariamente dagli stessi utenti. Consentono la trasmissione di idee, pensieri, opinioni ed eventi che da personali assumono dimensioni pubbliche e permettono di veicolare informazioni e notizie di carattere generale con intensità e velocità, assumendo grande importanza nell’influenzare gli atteggiamenti, le opinioni e i comportamenti di chi è inserito nel sistema sociale (Parlangeli, 2013). Questo comporta una partecipazione del pubblico molto più attiva rispetto al passato. È proprio quest’ultima caratteristica che li differenza dai media tradizionali, come la radio o la televisione che offrono solo limitate possibilità interattive (Kaplan e Haenlein, 2010).
Le persone si comportano in modo diverso relativamente all’uso dei mezzi di comunicazione e questo avviene per via delle differenti caratteristiche individuali. Alcuni modelli di ricerca, tra cui quelli che approfondiscono “usi e gratificazioni”, si sono concentrati proprio su queste caratteristiche. L’obiettivo comune alla base di questi modelli è «analizzare i motivi che spingono le persone ad usare i mezzi di comunicazione e i bisogni che vengono soddisfatti dall’uso di tali mezzi» (Arcuri, 2013, p. 155). Va analizzato come, fra le tante opzioni di scelta disponibili, le persone sceglieranno e useranno quelle che le gratificano di più.
I social più diffusi nel mondo sono Whatsapp, Instagram, Facebook, Twitter, YouTube, seguiti da Instagram, Pinterest, TikTok. Servono non solo per comunicare tra persone e gruppi, ma anche per condivisione di video e musiche, e scambi professionali. La loro diffusione nel mondo coinvolge milioni di utenti, in tutte le fasce di età, grado di istruzione, condizione sociale. Secondo il report relativo ai dati di diffusione, uso e consumo di Internet e dei social media nel mondo presentato da “Global Digital Overview” , gli users su Internet sono 4,5 miliardi, pari al 59% della popolazione totale, ed il 49% della popolazione ha un account su un social network. Rispetto al 2019 questi dati sono in aumento, rispettivamente del +7% gli utenti internet e +9,2% gli utenti attivi su social media. La percentuale di utenti che usano i social media per lavoro è pari al 43%. Il tempo che si passa al giorno navigando nelle reti sociali equivale ad una media di 2,5 ore, prevalentemente speso per scambiarsi messaggi. In Europa, il 60% della popolazione ha un profilo personale in una delle principali piattaforme (69% negli Stati Uniti).
La situazione nel contesto italiano, assumendo come fonte di dati “Digital 2020: Italy” , evidenzia che gli utenti di Internet sono 49,4 milioni, con un aumento del 2,4% in un anno (+1,2 milioni); il tempo medio trascorso sulla rete di 6 ore da parte degli utenti di età compresa fra i 16 e i 64 anni. Il numero di utenti attivi sui social media è di 35 milioni e anche questo dato ha visto un significativo aumento del 6,4%. Per quanto riguarda il tempo di uso, si registra una media di quasi due ore al giorno. Le piattaforme social più utilizzate in Italia risultano essere YouTube (88%), Whatsapp (83%), che occupa il primo posto tra le applicazioni di messaggistica, Facebook (80%) e Instagram (64%).
Questi social media hanno caratteristiche e obiettivi diversi, ma alcuni scopi sono comuni e presentano dei limiti rispetto alle tradizionali forme relazionali.
La comunicazione attraverso l’impiego del testo scritto perde tutti i segnali paralinguistici e quelli prossemici tipici della comunicazione umana e questo può condurre a difficoltà nell’interazione, malintesi, ambiguità e scorrette interpretazioni (Lotto & Rumiati, 2013). Per questo motivo sono diffusi gli emoticons, rappresentazioni sintetiche e convenzionali delle emozioni, usate soprattutto nelle chat, consentono di esprimere stati emotivi per colmare la mancanza – tipica della comunicazione scritta - di mediatori non verbali (Walther & D’Addario, 2001).
Anche quando il contatto è mediato da messaggi vocali o video, che consentono di esternare le caratteristiche del linguaggio e alcuni aspetti non verbali, la forzata condizione di asincronia tra espressione e ricezione non consente di surrogare pienamente le interazioni sincrone e in presenza.
A fronte di questi limiti, i vantaggi però sono molteplici.
È possibile eliminare gli spazi fisici e quindi superare la difficoltà di tenersi in contatto con persone care distanti, con molta più intensità e frequenza rispetto ai tradizionali canali telefonici.
Per chi lo desidera o ne ha bisogno, ci si può relazionare con persone sconosciute senza esporsi direttamente in un contatto potenzialmente rischioso, mascherando o addirittura alterando la propria identità e creandone una ‘virtuale’ che sostituisce quella reale meno soddisfacente. Non mancano però potenziali risvolti negativi, come del resto in tutte le forme di comunicazione: ad esempio la tendenza alla possessività nei confronti di persone care che si pretende di avere sempre a disposizione, o la creazione di falsi sé ai limiti della patologia. Ma di questi rischi gli utenti spesso sono poco consapevoli, valutandone invece solo gli aspetti rassicuranti e gratificanti.
Per queste ragioni molte persone – specialmente i giovani e i bambini “nativi digitali” – tendono ad abituarsi sempre più a questi nuovi mezzi di comunicazione e a sfruttarne i vantaggi, ma al tempo stesso esponendosi al rischio di assuefazione o vera e propria dipendenza, con gli effetti negativi che questa comporta.
- Possibili effetti psicologici dell’uso dei social networks
Già un trentennio fa si cominciò a parlare di “dipendenza da Internet” e venne evidenziato il “paradosso di internet”, che estendendo le possibilità di comunicazione riduceva di fatto il coinvolgimento sociale e il benessere derivato dal contatto interpersonale (Kraut, Patterson, Lundmark, Kiesler, Mukopadhyay, & Scherlis, 1988).
Da allora la presenza degli smartphone, oltre che dei personal computer portatili e dei tablet, ha modificato le dimensioni e le caratteristiche del problema, aumentando notevolmente le possibilità di rimanere connessi alla rete in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Telefoni portatili e computer, ormai sempre più diffusi e più semplici da usare per essere alla portata di tutti, hanno servizi e accessori tali da trasformare l’intera dinamica quotidiana e le relazioni sociali di chi ne fa uso.
Modificando il “paradosso” inizialmente affermato, le ricerche hanno dimostrato come l’uso di Internet sia positivamente correlato al coinvolgimento sociale, possa diminuire la percezione della solitudine (Hamburger & Ben-Artzi, 2000) e aumentare la sensazione di supporto (LaRose, Eastin, & Gregg, 2001). Specialmente le persone che sperimentano la solitudine cercano di costruire legami e relazioni nuove attraverso l’universo virtuale (Morahan-Martin & Schumacher, 2003; Skues, Williams, & Wise, 2012). Però altri studi, sottolineando la complessità del problema, hanno dimostrato che, al contrario, può essere proprio l’uso di Internet a causare la solitudine: chi si sente solo usa le sue risorse per stare nel mondo virtuale piuttosto che costruire rapporti in presenza, e questo circolarmente causa più isolamento sociale (Kim, LaRose, & Peng, 2009; Bong- Won & Kun Chan, 2011; Biolcati e Cani, 2015).
«Se le trasformazioni delle relazioni sociali supportate dalla “rete” presentano indubbi vantaggi di supporto alla vita quotidiana, possono anche rappresentare un pericolo, soprattutto per i giovani che fanno maggiore uso di queste tecnologie. In particolare il rischio più rilevante «è di affrontare tutte le relazioni interpersonali in modo ‘surreale’», di utilizzare quasi esclusivamente i devices per la gestione delle proprie emozioni e ancora «la crescita esponenziale dei livelli di stress e di ansia libera, dovuti in particolare al fatto di poter essere raggiunti e controllati sempre e comunque, e di poter ugualmente raggiungere e controllare altre persone in qualsiasi luogo e momento» (Marazziti, Presta, Picchetti, & Dell’Osso 2015, p. 78).
Si può arrivare ad una vera a propria dipendenza, dedicando la maggior parte del tempo e delle energie all’uso dello smartphone, al punto da inficiare le principali aree esistenziali come quella relazionale, personale e familiare. Si tratta di dipendenze che modificano il comportamento dell’individuo, esponendolo agli stessi meccanismi impulsivi e compulsivi innescati dall’utilizzo di droghe (Bevelacqua e Chiapasco, 2018).
Secondo Gallo (2017) esistono delle condizioni predisponenti all’insorgenza dell’Internet addiction e queste possono essere le psicopatologie preesistenti. Infatti nell’86% dei casi questa dipendenza è associata a condizioni psicopatologiche o ad altre forme di dipendenza, i problemi personali, per cui il web assume il ruolo di valvola di sfogo alle problematiche e l’illusione che la rete possa fornire le risposte a molti dei bisogni vitali della persona, consentendo pure di sperimentare vissuti ed emozioni protetti dallo schermo.
Tra le caratteristiche che facilitano l’uso abituale delle piattaforme social fino a trasformarla in dipendenza, è l’imprevedibilità del rinforzo atteso: secondo Griffiths (2018) il pensiero anticipatorio della ricompensa produce piacere fisiologico e psicologico che induce l’utente a controllare continuamente i devices per compensare la paura di essere “lasciati fuori” (fear of missing out, FOMO). Questo può avere fondamenti psicobiologici: diversi ricercatori (ad esempio, Casha, Raea, Steela, & Winklerb 2012; Hou, Jia, Hu, Fan, Sun W., Sun T., & Zhang, 2012) hanno verificato che le anomalie del sistema dopaminergico presenti in persone affette da tossicodipendenza si possono riscontrare anche in persone dipendenti da internet.
Questi stati di dipendenza, ben descritti da autori come Young (1998, 2011), non sono però il target della nostra ricerca. In essa piuttosto si è cercato di approfondire le variabili che possono rendere l’uso dei social media dannoso, anziché vantaggioso, per il benessere psicologico dell’utente.
In letteratura si possono trovare numerosi studi che indagano i costrutti che sono maggiormente legati all’uso di Internet in generale e dei social network in particolare, come l’autostima, l’ansia, i disturbi di personalità, la depressione, il ritiro sociale, l’insonnia e i disturbi alimentari.
Nell’attuale panorama di comunicazione mediata e condotta dalle tecnologie e da Internet, spendere molto tempo sui social network sembra essere un comportamento normale e persino adattivo, soprattutto per i più giovani (Griffiths e Kuss, 2017), motivo per cui le ricerche condotte dagli studiosi per verificare la correlazione tra l’uso delle reti sociali e lo sviluppo di disagi psicologici o di vere e proprie psicopatologie, non si concentra più tanto sul tempo trascorso online, quanto piuttosto sulla qualità del tempo stesso, su che tipo di attività gli utenti svolgono in rete.
La minore frequenza di contatti sociali spinge ad un avvicinamento ai social network, che, al contrario, sembrano trasmettere un forte senso di sicurezza e di socialità. Ma le piattaforme digitali, fondando le basi di un mondo virtuale, consentono sicurezza e relazioni fittizie che, conseguentemente, modificano le dinamiche psico-emotive sia personali sia interpersonali col rischio di sfociare in disfunzioni cognitive e comportamentali, e in menomazioni delle principali aree vitali. Per via della dipendenza dai social network e dai feedback che questi forniscono, esiste la possibilità che progressivamente gli utenti mettano in atto dei comportamenti di evitamento generale nei confronti dei contesti e delle interazioni nella quotidianità, preferendo il contatto virtuale a quello reale. Questo provocherà disagi come isolamento e ansia sociale, depressione, disturbi del sonno (Hawi & Samaha, 2016).
Isolamento, ritiro e ansia sociale
A causa della quotidiana presenza dei social network e dell’essere connessi costantemente, le persone risultano sempre più estraniate dalla realtà che le circonda, poiché si ritrovano immersi nel mondo virtuale e ogni momento libero nella loro giornata è proprio dedicata alle piattaforme digitali, a discapito di ciò che accade attorno a loro (Turkle, 2012) contribuendo all’abbassamento dei livelli di attenzione e concentrazione.
È possibile riscontrare ritiro sociale e sviluppo del senso di isolamento legati all’uso dei network sociali. Questi fenomeni si possono notare con molta facilità prendendo come esempio una qualsiasi situazione sociale che prevede la presenza di tante persone in uno stesso contesto: la maggior parte di loro avrà in mano uno smartphone, come se fosse ormai una parte integrante del proprio corpo, e si ritroveranno tutte insieme, ma in realtà sarà come se fossero da sole, ritirate in un mondo virtuale.
Riprendendo il ben noto termine di Bauman (2002) si parla di società “liquida” in cui le relazioni sono sfuggenti, fugaci e prive di intimità, si tende ad evitare la genuina connessione affettive tra le persone le quali, di conseguenza, investono meno nei rapporti umani, preferendo investire energie nella creazione di connessioni virtuali.
L’uso prevalente dei network può provocare una distorsione dei rapporti sociali in quanto il concetto di “amicizia” non fa più riferimento al legame emotivo e di intimità che si instaura tra le persone, ma è legato all’essere “follower” su Instagram o all’accettare con un click la richiesta d’amicizia su Facebook; in questo modo non si stringono più rapporti basati sulla conoscenza e l’interazione reciproca, ma piuttosto sulla condivisione di post o l’assegnazione di like, senza necessariamente conoscersi di persona.
In caso di disturbo d’ansia sociale (o fobia sociale) i social networks possono svolgere una funzione positiva oppure negativa. Il lato positivo consiste nel fatto che i soggetti ansiosi trovano nelle piattaforme digitali lo strumento utile che li aiuta a socializzare con gli altri utenti e a condividere parti di sé che spesso sono tenute nascoste e che invece riescono ad emergere grazie all’uso delle reti, data la distanza tra il soggetto e gli altri. L’interazione di persona per coloro che soffrono di ansia sociale può apparire così minacciosa da far preferire loro una comunicazione online percepita invece come meno pericolosa e questo li porterà a trascorrere molto tempo sui social. L’aspetto negativo è la tendenza ad isolarsi sempre di più, incrementando l’ansia quando l’incontro con le persone deve avvenire necessariamente in presenza.
Immagine di sé e autostima
Ogni social network, al momento dell’iscrizione, prevede la creazione di un proprio profilo personale attraverso l’inserimento delle credenziali di base come nome, cognome e email, e di una foto che si ritenga rappresentativa. In seguito, il profilo può essere arricchito con qualsiasi altro tipo di informazione che riguarda la persona in senso fisico, condividendo le proprie fotografie o i propri video, e in senso intellettuale, attraverso la condivisione dei propri interessi, pensieri e opinioni.
Dietro questa operazione, si nasconde una grandissima opportunità di espressione per gli utenti i quali hanno la facoltà di scegliere di aggiornare il proprio profilo tutte le volte che lo desiderano e nei modi che preferiscono; hanno la possibilità di creare una loro identità personale enfatizzando le proprie caratteristiche positive e omettendo quelle negative; si può addirittura avviare un processo di costruzione dell’identità la quale si discosta, di poco o di molto, dal Sé reale, per avvicinarsi al Sé ideale, cioè alla persona che si vorrebbe essere. Gli spazi virtuali possono costituire per la propria identità dei “laboratori” (Bruckman, 1992), dove si può sperimentare il modo in cui presentarsi e dove sottoporsi a continue rinegoziazioni della propria immagine. Nasce un Sé diverso, costruito e modificato artificialmente e intenzionalmente in base al contesto e all’uso che se ne vuole fare.
La maggior parte degli utenti crea il proprio profilo rispettando la propria vera immagine, quindi si presentano nel mondo virtuale come effettivamente sono in quello reale; ma anche in questo caso interviene il fattore “scelta”, perché è comunque possibile una selezione su cosa si decide di mostrare, nascondendo ciò che non è gradito. I social si trasformano in una sorta di vetrina digitale in cui potersi esibire e mettersi in mostra, in cui ricevere apprezzamenti e commenti con l’obiettivo di rinforzare l’immagine di Sé che si propone.
Il bisogno di ridefinire continuamente la propria rappresentazione deriva anche dal volersi conformare al canone sociale, a ciò che la società e quindi i followers si aspettano di vedere e si assiste al passaggio da Sé soggetto a Sé oggetto, attraverso l’esposizione della propria immagine, ideale e illusoriamente perfetta, postata sul profilo affinché gli altri possano goderne.
I principali social network hanno risposto alla necessità degli utenti di rinegoziare la loro identità inserendo delle funzionalità specifiche (le stories) che consentono di pubblicare contenuti nella propria pagina personale per la durata di 24 ore, in seguito alle quali essi spariscono dalla piattaforma. Appare evidente che in questo modo l’utente può decidere quotidianamente chi vuole essere, cosa vuole mostrare e che messaggio vuole trasmettere. Il giorno successivo sarà nuovamente una pagina bianca pronta a consentire alla persona di reinventarsi continuamente.
La condivisione della propria immagine ha pure il fine di ricevere conferme da parte degli altri sulla nostra identità e su come veniamo percepiti dall’esterno, attribuendo estrema importanza al giudizio altrui. Tramite il proprio profilo social si costruisce una “verità” su se stessi e sulle proprie relazioni con mondo.
Di conseguenza l’autostima e il processo della sua costruzione sono influenzati da quello che accade nella rete. La percezione che ciascuno ha di sé è influenzata dai giudizi altrui, che possono rafforzare o indebolire la propria autostima. La persona si valuta grazie al confronto sociale perché gli altri rappresentano una sorta di specchio attraverso cui l’individuo si guarda, si valuta e si auto-definisce. I social networks incarnano perfettamente la veste di “specchio” per i loro utenti, che in seguito alla pubblicazione della loro immagine ricevono immediatamente - o quasi - un feedback da parte degli altri fruitori della piattaforma. I like o i “cuori” assegnati ad ogni post fungono da approvazione non soltanto al contenuto in sé, ma anche all’identità dell’autore; così tanti “mi piace” e commenti positivi contribuiscono ad accrescere l’autostima e la sicurezza personale dell’individuo, ma allo stesso modo un numero ridotto di like e commenti dispregiativi possono abbassare i livelli di autostima e influenzare negativamente l’umore della persona.
È stato dimostrato che le persone con bassa autostima tendono ad usare maggiormente i social network al fine di migliorare la percezione che hanno della loro immagine attraverso la ricezione di feedback, i quali, inoltre aumentano anche il livello di benessere psicologico generale (Błachnio, Przepiorka, & Rudnicka, 2016). Spesso le persone usano i social network per ottenere una maggiore autostima e/o per sfuggire ai sentimenti di bassa autostima (Andreassen, Pallesen, & Griffiths, 2017).
La conseguenza negativa di questo meccanismo è che gli utenti della piattaforma, con il passare del tempo, finiscono per legare indissolubilmente la loro autostima solamente alle risposte e ai giudizi che ricevono dagli altri, non sviluppando un loro senso di accettazione autonomo rispetto alla popolarità ricevuta tramite il social. Anche se i feedback sono positivi e quindi l’autostima della persona raggiunge livelli alti, in realtà si sviluppa una falsa sicurezza di sé, che nasconde tutta la sua fragilità nel legame di dipendenza dalle reazioni e giudizi altrui. Per quanto si possa sperimentare una sensazione piacevole, seppur breve, quando si pubblica qualcosa che riceve consenso dagli altri, la valutazione personale non si rafforzerà, ma al contrario si diventerà dipendenti dalle opinioni del pubblico.
Narcisismo digitale
Il termine “narcisismo” viene impiegato per indicare un’elevata preoccupazione o un interesse relativo al Sé, che si può inserire in un continuum cha va dalla normalità alla patologia. Alla prima va ricondotto il narcisismo sano tipico di quelle persone carismatiche, assertive e sicure di sé e che sono fortemente determinate, padrone di sé e capaci di una leadership coinvolgente ed empatica (Behary, 2013); all’estremo opposto troviamo il narcisismo “maligno” (Kernberg,1996) che rappresenta l’aspetto disadattivo caratterizzato da grandiosità, mancanza di sentimenti, perdita di contatto con il sé, distorsione della realtà, senso di onnipotenza, diffidenza verso gli altri, rabbia espressa, mancanza di empatia che può arrivare alla crudeltà e al sadismo. Le caratteristiche della personalità narcisistica includono esibizionismo grandioso, credenze relative al diritto di ricevere riconoscimenti, e tendenza alla manipolazione e allo sfruttamento degli altri.
Si è detto che il mondo virtuale consente di scegliere di essere chi si vuole e non necessariamente essere chi si è davvero, enfatizzando le proprie caratteristiche positive ed omettendo quelle negative, veicolando così un’immagine di sé desiderata seppur non realistica. I social network rappresentano il terreno fertile in cui poter coltivare il proprio Sé ideale desiderato, riconducibile quindi all’identità che un soggetto vorrebbe affermare.
Oggi possiamo parlare di narcisismo digitale, un’espressione attraverso la quale si indicano un insieme di pratiche comunicative che sono tipiche dell’universo digitalizzato e fondate su un egocentrismo molto accentuato al punto da apparire patologico (Zona, 2015).
La condivisione di immagini personali e soprattutto dei cosiddetti selfie, cioè di foto auto-scattate in cui si mostra il proprio viso in primo piano, sempre più diffusi online, sembrano mettere in risalto il bisogno da parte degli utenti di essere guardati e di ricevere attenzioni. È molto probabile l’ipotesi che nella pubblicazione di queste immagini ci sia in gioco l’integrità narcisistica e, quindi, esistenziale dell’autore dello scatto. Il selfie testimonia il desiderio e il piacere di apparire e di mostrarsi, mettendo al centro della scena il proprio volto, una parte di sé valutata come positiva e degna di essere condivisa, alla ricerca di una continua approvazione - attraverso like e commenti - che confermi l’immagine che si vuole dare di sé.
Secondo Buffardi e Campbell (2008) i narcisisti pubblicano sulle loro pagine le foto in cui appaiono più belli e più alla moda; dal numero di “amici”, dal tipo di immagini, e dai commenti associati al profilo è possibile valutare in maniera attendibile il grado di narcisismo dell’utente. Gli utenti narcisisti, rispetto agli altri, utilizzano per più tempo durante la loro giornata i social networks e sembra che farsi più selfie rinforzi i tratti narcisistici di personalità (Reed, Bircek, Osborne, Viganò, & Truzoli, 2018).
Il narcisismo digitale si caratterizza per un oversharing, cioè un eccesso nella condivisione di informazioni, situazioni e contesti che diventa un gesto istantaneo e naturale e che rappresenta un’estensione del Sé; ci si mette in mostra in modo spettacolare, e questa esposizione diventa quasi l’unica maniera di esistere, legata all’essere visti e riconosciuti.
Il piacere di parlare di sé agli altri è riconosciuto come bisogno intrinseco e primario. Lo ha confermato un’indagine effettuata con risonanza magnetica funzionale, mediante la quale è stato osservato come nel momento in cui i soggetti si soffermavano a narrare le proprie esperienze, le proprie idee e le proprie emozioni, le regioni cerebrali più reattive erano quelle deputate alla percezione di gratificazione e di piacere (Tamir & Mitchell, 2012).
In particolare, è stata verificata una relazione stretta fra le attività delle ragazze sui social network e la loro percezione dell’immagine corporea. Un’elevata esposizione a contenuti relativi all’aspetto estetico risulta positivamente correlata ad un incremento nei disturbi dell’immagine corporea che nascono dall’interiorizzazione dell’ideale mediatico e del desiderio di essere più magre (Meier & Gray, 2014).
Alla luce delle evidenze citate, non si può trascurare la possibilità di impatto negativo che i social network possono avere nei processi di costruzione dell’identità psichica e fisica degli utenti e nello sviluppo di problematiche connesse.
Depressione
La depressione è un disturbo del tono dell’umore, funzione psichica importante per l’adattamento. In genere l’umore è flessibile: volge verso l’alto quando la persona vive situazioni piacevoli e inclina verso il basso in condizioni negative. Il soggetto che soffre di depressione non gode di questa flessibilità, ma il suo umore è perennemente flesso verso il basso, indipendentemente dalle situazioni esterne. La persona che presenta i sintomi della depressione manifesta frequenti stati di insoddisfazione e tristezza, convive con il costante malumore e con pensieri negativi circa sé, le proprie relazioni e il proprio futuro.
Oltre la deviazione dell’umore, Beck e Alford (2009) riconoscono l’esistenza di altre componenti che caratterizzano il disturbo: sentimenti di solitudine e apatia; concetto di sé negativo e associato a colpevolizzazione; desideri regressivi e auto-punitivi; cambiamenti del sistema vegetativo come anoressia, insonnia o perdita di libido; cambiamenti nel livello di attività come ritardo o agitazione.
Al di là della descrizione generica della sindrome, in base alla classificazione presentata dal DSM-5 (2013) si può parlare di depressioni al plurale, perché esistono diverse tipologie di disturbi depressivi: dalla depressione maggiore, al disturbo depressivo persistente, al disturbo dell’adattamento con umore depresso, presente anche in persone senza sintomi gravi e conclamati.
In concomitanza alla diffusione di Internet e all’uso dei network sociali è stato riscontrato anche un aumento dei casi di depressione e di altri disturbi dell’umore soprattutto tra gli adolescenti, e - pur riconoscendo la presenza di fattori sovraordinati – si è indagata l’ipotesi di una correlazione tra l’utilizzo dei social network e l’umore depresso. Diversi studi si sono posti quest’obiettivo ed è stato mostrato come la correlazione esiste, ma ci si chiede quale sia la relazione causale tra le due variabili, se è l’eccessivo utilizzo dei social a creare il terreno per lo sviluppo della patologia, o se sono i soggetti depressi che tendono a usare eccessivamente la piattaforma.
Alcune problematiche psicologiche possono essere considerate sia predittori, sia conseguenze dell’uso problematico di Internet e possono aumentare il rischio di sintomi depressivi: persone depresse sono più propense all’utilizzo dei social e chi ha un utilizzo problematico di questi media manifesta più frequentemente depressione (McCrae, Gettings, & Purssell, 2017; Radovic, Gmelin, Stein, & Miller 2017).
Durante l’uso dei social network è possibile che si attivi il “contagio emotivo”, fenomeno studiato in relazione ai rapporti reali, ma che sembra sia presente anche nel mondo virtuale. In particolar modo, risultano essere contagiosi i contenuti emotivi negativi trasmessi da post condivisi online (Ferrara & Yang, 2015), soprattutto se legati alle “bolle culturali virtuali”. Queste ultime vengono individuate grazie agli algoritmi presenti in ogni applicazione con lo scopo di comprendere e memorizzare il tipo di interazione avviata dall’utente. In questo modo saranno fornite sempre le stesse categorie di contenuti per cui il soggetto ha mostrato interesse, perché lo scopo è quello di coinvolgere l’utente in modo tale da farlo rimanere il più a lungo possibile nella piattaforma.
L’interagire con determinate categorie comporta la formazione della bolla culturale virtuale: se ad esempio si cerca un articolo sull’estinzione degli animali, informazioni sulla fame nel mondo e sulla morte di qualcuno, gli algoritmi prendono nota di queste interazioni e in seguito mostreranno i contenuti più negativi su questi argomenti, visto l’interesse dimostrato. Combinando le “bolle virtuali” e il contagio emotivo negativo, si attiva una forte influenza sullo stato emotivo della persona, che tenderà a flettere verso il basso.
Spesso nelle piattaforme digitali i contenuti condivisi rimandano alla bellezza, alla felicità, alla perfezione e alla soddisfazione di ciò che si è e si fa. Si scelgono accuratamente i contenuti da mostrare affinché il messaggio trasmesso dalle proprie condivisioni sia il più positivo possibile. Ma cosa succede a chi guarda questi post? Gli utenti più fragili si ritrovano ad osservare un’illusione di benessere a livelli tali da apparire irraggiungibile: gli altri sembrano sempre migliori, più in forma e più contenti, e questo genera sentimenti negativi come gelosia, invidia, inadeguatezza, tristezza e insoddisfazione che abbassano l’umore.
Uno studio effettuato dalla Royal Society for Public Health (2017) ha testato l’impatto psicologico dei social network sugli adolescenti ed è stato rilevato come quasi tutte le reti sociali possono avere influenze negative sul benessere psicologico. Più alto è il numero di social utilizzati dalla singola persona, maggiori sono le probabilità di avere disturbi dell’umore. Ma anche questa ricerca lascia aperto l’interrogativo sulla relazione tra depressione e uso dei social: non si può dedurre se i social causino depressione, o meglio se pongano le basi per lo sviluppo del disturbo e quindi ne agevolino la manifestazione, oppure se sono le persone depresse a usare eccessivamente i network perché trovano in essi una valida alternativa per alleviare il dolore e per fuggire dal senso di vuoto. L’ipotesi è che più ci si rifugia nella rete, più si rischia di aumentare i sintomi depressivi, dando vita a un circolo vizioso.
Sono necessari altri studi più approfonditi sul fenomeno per dare risposta ai quesiti in sospeso sulla relazione tra le due variabili.
- L’isolamento sociale conseguente al COVID e l’uso dei social networks
Le settimane di confinamento per la pandemia sono state caratterizzate per molte persone da un senso di paura, di ansia e di solitudine oltre che da un totale stravolgimento dei ritmi di vita e delle abitudini. Dovendo trascorrere in casa le giornate, molti si sono adattati allo smart working, svolgendo le loro mansioni a distanza attraverso l’ausilio del computer, mentre altri si sono ritrovati senza lavoro; qualcuno è rimasto lontano dai propri cari e ha trascorso da solo il lockdown, altri hanno condiviso spazi ristretti con numerosi familiari; c’è chi ha passato tanto tempo in cucina e chi invece si è dedicato alla ginnastica; alcuni hanno aumentato la lettura di libri, altri della visione di tv e film. Ma quasi tutti hanno passato più tempo sui social networks, e diverse ricerche hanno registrato l’aumento del numero di utenti iscritti alle piattaforme digitali e del tempo speso navigando in esse.
A livello mondiale, i dati dell’analisi presentati da Digital 2020, riferiti allo scorso aprile, mostrano che nei paesi in cui sono state imposte le restrizioni di sicurezza per contenere il virus sono aumentati gli utenti globali di Internet e i tempi di permanenza sui social network. L’uso dello smartphone è aumentato per il 76% del campione complessivo, soprattutto in Paesi più dipendenti dai social come le Filippine, il Brasile e il Sudafrica; i Paesi che, invece, hanno registrato meno dipendenza sono il Giappone e la Germania. In Italia il 45% degli utenti afferma di aver aumentato l’uso delle reti sociali. Gli utenti italiani hanno mostrato un particolare apprezzamento per le videochiamate collettive, effettuate tramite Facebook, Instagram e Whatsapp, un dato che si evince dall’aumento a marzo 2020 dell’utilizzo delle piattaforme di chiamata di oltre il 1000%.
Le ricerche effettuate da Comscore riportano un aumento progressivo della fruizione dei social network, registrando un’accelerazione nelle settimane immediatamente successive al blocco: già a partire dai primi di marzo si è avuta un’intensificazione del traffico che è arrivata ad un aumento del 90% rispetto alla prima settimana di gennaio. Altri dati evidenziano che dall’inizio dell’emergenza il 64% degli italiani ha incrementato la fruizione dei contenuti online, il 62% l’uso delle chat e il 42% ha fatto ricorso a videoconferenze per uso professionale. Un’ulteriore analisi riguarda l’aumento dei social che incorporano una funzione di intrattenimento e si riportano come esempi TikTok, applicazione che risulta essere la più scaricata (oltre 1,6 milioni di volte, un incremento del 50%) e Instagram (oltre 1,1 milioni). Per quanto riguarda Whatsapp si evidenzia soprattutto l’aumento del tempo speso sull’applicazione, salito a 55 minuti a persona al giorno.
In situazione di isolamento, la percezione degli italiani dell’utilità della tecnologia è sicuramente cambiata, dato che i devices e i social network ad essi associati sono diventati i principali strumenti per combattere la solitudine e l’isolamento.
Attraverso le reti sociali sono stati diffusi messaggi di solidarietà e di sostegno reciproco, di amore, di forza e di speranza, sono nate numerose iniziative per divertirsi, intrattenersi e tenersi compagnia durante le lunghe giornate trascorse in casa e parecchie sono state le proposte a favore delle persone sole o a rischio, come per esempio la divulgazione delle raccolte fondi. I social hanno contribuito anche alla didattica a distanza, e sono nati gruppi di contatto tra genitori e insegnanti. Sono stati usati anche da canali istituzionali per contrastare in modo capillare la diffusione di fake news. Appare evidente, così, che i social network abbiano assunto un ulteriore significato basato sullo spirito della vicinanza e della utilità per la comunità sociale.
Come abbiamo visto, la ricerca pregressa ha dimostrato che i social network, in generale, tendono ad allontanare dall’ambiente relazionale esterno favorendo il ritiro in quello digitale, e producendo quindi la tendenza ad una forma di isolamento sociale. Paradossalmente però, in tempi di forzato isolamento - per le restrizioni dovute alla pandemia, ma anche per condizioni personali contingenti come una malattia o un trasferimento in luoghi diversi da quelli abituali – la rete sociale può essere di aiuto per riprendere un contatto relazionale altrimenti impossibile. È importante approfondire a che condizioni questo avviene, e con quali esiti sul piano psicologico.
- La ricerca
Obiettivi e ipotesi
La ricerca sperimentale che qui presentiamo si è posta l’obiettivo di valutare l’impatto psicologico che i social networks hanno avuto durante il periodo di isolamento obbligatorio.
L’ipotesi è che l’uso delle piattaforme digitali in condizioni di emergenza, anziché evidenziare i potenziali aspetti negativi che la letteratura – come si è visto –attribuisce all’uso intensivo dei social, abbia invece aiutato a combattere il senso di isolamento e solitudine causato dalle misure di distanziamento obbligatorio.
Lo scopo della ricerca è anche valutare se variabili demografiche quali il genere e la professione dei partecipanti e variabili di personalità e di disagio psicologico hanno influenzato gli effetti dell’uso delle reti sociali, e in particolare, verificare quali variabili di personalità siano maggiormente connesse all’importanza attribuita ai social e al loro uso come supporto psicologico durante l’emergenza.
Campione e procedura
Il campione è composto da 400 persone, utenti di social networks, di età compresa tra i 12 e gli 80 anni, 228 donne (età media 31,02 anni (dev.st. 11,45) e 172 uomini, età media 36,42 anni (dev.st.14,27).
Riguardo alla variabile occupazione, i partecipanti erano: lavoratori (n=210), disoccupati (n=31), pensionati (n=11), casalinghe (n=21), studenti (n=127).
Il questionario è stato creato tramite la piattaforma Moduli di Google ed è stato diffuso via Internet con l’ausilio dei social networks, attraverso i quali è stato condiviso e inoltrato il link della ricerca.
I soggetti hanno scelto volontariamente di prendere parte al progetto di ricerca (prestando consenso informato prima dell’esecuzione), hanno auto-compilato il questionario con il proprio smartphone, tablet o computer, e le risposte sono state automaticamente registrate dalla piattaforma.
Strumenti
Il questionario usato era composto da diverse sezioni, contenenti la richiesta di informazioni relative a:
- Età, genere e occupazione del partecipante.
- Uso dei social networks in termini quantitativi e qualitativi: quali sono le piattaforme più utilizzate, quanto tempo viene loro dedicato mediamente al giorno, quali sono i principali motivi che spingono a prendere parte delle reti sociali, e l’importanza attribuita alla presenza dei social networks nella società odierna.
- Uso dei social network ai tempi del CoViD-19: possibili cambiamenti nei tempi e nei modi di impiego delle piattaforme; quanto si ritiene che i social abbiamo contribuito positivamente ad affrontare il periodo di lockdown e, nello specifico, quanto abbiano aiutato a contrastare il senso di isolamento e di solitudine durante il distanziamento fisico forzato.
La sezione successiva includeva alcuni strumenti diagnostici:
- il 10-item Big Five Inventory (Guido, Peluso, Capestro, & Miglietta, 2015), una versione ridotta del Big Five Questionnaire, che misura i cinque fattori di personalità dedotti dalla teoria dei Five Personality Factors (McCrae & Costa, 1987). I tratti indagati sono l’amicalità, la coscienziosità, l’estroversione, la stabilità emotiva e l’apertura mentale. I soggetti devono esprimere il grado d’accordo ad ogni affermazione presentata su una scala a cinque livelli, in cui “per niente d’accordo” equivale a 1 punto e “del tutto d’accordo” corrisponde a 5 punti. Il punteggio finale si ottiene sommando i punti ottenuti a ciascun item, tenendo però conto che gli item reversed richiedono l’inversione del punteggio in fase di scoring.
- le scale STAI State-Trait Anxiety Inventory (X2 e X1) di Spielberger, Gorsuch, Lushene, Vagg, e Jacobs (1983), che valutano l’ansia di tratto, cioè intesa come disposizione stabile della persona, e l’ansia di stato, vale a dire i livelli di ansia determinati da un particolare momento o legati a una situazione specifica che crea una rottura dell’equilibrio emotivo della persona, intesa quindi come una reazione alle circostanze (nel nostro caso il periodo di lockdown per CoViD). In entrambi i casi le risposte vanno date su una scala a 4 punti da “quasi mai”, a “quasi sempre”.
- il Beck Depression Inventory nella versione di 13 item (Beck & Beck, 1972), forma breve del BDI basato sul modello dei disturbi depressivi di Beck. Il test è uno strumento self-report composto da 13 gruppi di frasi che esplorano gli atteggiamenti e i sintomi caratteristici della depressione; viene richiesto al soggetto di leggere le quattro frasi che compongono ciascun gruppo e di scegliere quella che meglio descrive come ci si è sentiti nelle ultime due settimane. All’interno della presente ricerca, invece, è stato chiesto ai soggetti di rispondere agli item tenendo conto specificamente delle settimane trascorse in lockdown. Per la valutazione ad ogni frase di ciascun gruppo di risposte è assegnato un punteggio che va da 0 a 3, pertanto il punteggio totale può variare da 0 a 39 punti. Un punteggio uguale o maggiore di 30 punti è indicatore di patologia depressiva. Nessuno dei partecipanti alla ricerca ha ottenuto punteggi che raggiungono questa soglia, confermando l’assenza nel campione di soggetti con patologie depressive conclamate, anche durante il periodo di forzato isolamento; la variabile in questione può essere definita pertanto come “tendenza all’umore depressivo”, connessa al periodo critico attraversato.
Dalle prime sezioni del questionario emerge che il 98,5% del campione utilizza abitualmente i social networks in quanto ritiene molto importante la loro presenza all’interno della società odierna. I dati relativi ai social più utilizzati (grafico 1) confermano solo parzialmente le indagini condotte dal Global Digital Interview, poiché ad avere il primato di piattaforma più usata risulta essere Whatsapp (97,3%), così come riportato dalla già citata ricerca nazionale; nel nostro campione si posiziona al secondo posto Instagram (74,4%), al terzo Facebook (63,2%) e solo al quarto YouTube (50,2%).
Grafico 1: Social networks maggiormente utilizzati (possibili più risposte)
È stato chiesto al campione di definire, su una scala a dieci livelli, quanto ritiene di partecipare attivamente all’interno delle piattaforme digitali ad esempio pubblicando video sui propri profili, condividendo fotografie o scrivendo commenti a post altrui. Il risultato complessivo mostra che a collocarsi sotto il punteggio 5, e quindi ad essere poco attivi, è il 46% del campione, mentre il 54% ha selezionato 6 o più.
Per quanto riguarda il tempo trascorso in rete la maggior parte del campione dichiara di passare abitualmente tra 1 e 4 ore al giorno sui social. In dettaglio, il 15,7% dei casi degli intervistati trascorre abitualmente meno di un’ora al giorno, il 36,3% ne trascorre una o due, il 32,6% fra tre e quattro e il 15,4% più di quattro ore.
Durante il periodo di isolamento obbligatorio il 65,9% degli intervistati dichiara di aver trascorso più tempo sui social networks, per il 28,6% il tempo è rimasto invariato, mentre solo il 5,5% sostiene di aver passato meno tempo sulle piattaforme digitali.
Tra le motivazioni che più spingono i partecipanti a prendere parte alle reti sociali digitali sono principalmente indicati il desiderio di rimanere in contatto con gli amici, i motivi lavorativi, il consultare notizie e l’uso dei social come fonte di svago e passatempo e secondo il 63,9% dei soggetti, durante il periodo di isolamento forzato non sono cambiati i motivi per cui i social networks sono stati utilizzati.
Il 43% dei partecipanti ritiene che durante l’isolamento i social networks non hanno influenzato o modificato la propria vita quotidiana, ad esempio nelle abitudini alimentari, nell’attività fisica o negli acquisti online.
La maggioranza del campione sostiene che le piattaforme digitali hanno fornito un apporto positivo durante le settimane trascorse in lockdown. In particolare i partecipanti dichiarano che i social networks hanno fornito un contributo significativo sia per quanto riguarda il ridurre il senso di isolamento, sia per la riduzione del senso di solitudine (il 78% ha attribuito, su una scala a 10 punti, un punteggio superiore a 5; il 36% maggiore di 7).
Analisi di confronto fra gruppi
È stata effettuata un’analisi mediante il test t di Student per evidenziare eventuali differenze statisticamente significative, presenti nel campione sulla base del genere e dello status occupazionale.
Sono emerse differenze significative solo per quanto riguarda il tempo trascorso al giorno sui social networks (uomini: media 2,36, d.s. 0,94; donne: media 2.55, d.s. 0,92; t=-2,05, p<0,05) e le influenze o modifiche della quotidianità derivate dal loro uso (uomini: media 0,33, d.s. 0,58; donne: media 0,67, d.s. 0,52; t=-2,84, p<0,001). Risulta che le donne passano mediamente più tempo al giorno online nelle piattaforme digitali e la loro vita quotidiana è più soggetta a subire influenze o modifiche per opera dei social networks rispetto agli uomini. Nessuna altra differenza tra i due generi risulta statisticamente significativa, a parte quelle (usuali in letteratura) nei punteggi di ansia e depressione, superiori nelle donne come previsto in base alla taratura dei rispettivi test.
Sono state verificate statisticamente, mediante analisi della varianza, anche le differenze tra le diverse categorie occupazionali.
Per quanto riguarda l’importanza assegnata ai social networks pensionati (media 8,36) disoccupati (8,06), studenti (7,99), lavoratori (7,70), casalinghe (6,90). Le differenze sono statisticamente significative (F= 2,67; p<0,05).
Per quanto riguarda il tempo medio (F=10,16; p<0,01) si evince che ad attribuire significativamente maggiore importanza alle reti sociali digitali sono i disoccupati (media 2,81 ore giornaliere), poi gli studenti (2,76), i lavoratori (2,35), i pensionati (1,91) e infine le casalinghe (1,71).
Sono state evidenziate anche delle differenze tra le categorie per quanto riguarda l’uso dei social network per contrastare i problemi dell’isolamento e della solitudine causate dal lockdown. I dati dimostrano che è la categoria dei pensionati a ritenere più utile il contributo delle piattaforme digitali; dopo di loro, ad avere una buona considerazione dei social networks per superare il senso di isolamento sono i disoccupati, e per il senso di solitudine sono le persone che lavorano in casa. Queste differenze, però, non raggiungono la soglia della significatività statistica.
Analisi correlazionali
L’analisi delle correlazioni tra le variabili è stata eseguita tramite il coefficiente di Pearson. Vengono di seguito riportate e commentate, separatamente per i due generi, le correlazioni statisticamente significative per p<.05.
Nel campione maschile l’età correla significativamente con i fattori BFQ amicalità (r=0,16), coscienziosità (0,22), stabilità emotiva (0,18).
L’importanza attribuita ai social networks è connessa con l’apertura mentale (0,19) ma anche con l’ansia sia di stato (0,20) che di tratto (0,22).
Analogo trend si verifica riguardo il tempo abitualmente trascorso all’interno delle reti sociali digitali (0,18 con apertura mentale, 0,31 e 0,26 con ansia di stato e tratto) ma anche con la tendenza all’umore depressivo (0,36).
Il grado di partecipazione attiva all’interno delle piattaforme online correla con l’estroversione (0,18) e l’apertura mentale (0,22) ma anche con l’ansia di tratto (0,17).
Soltanto all’ansia di tratto (0,19) è invece legata la variazione del tempo passato sui social durante il periodo di isolamento forzato.
Nessuna variabile appare significativamente connessa al numero di persone coabitanti in casa durante il lockdown.
Le influenze o modifiche della vita quotidiana generate dall’uso dei networks sono riportate maggiormente dai soggetti più tendenti alla depressione (0,35) e più ansiosi per la situazione contingente (0,20).
Hanno registrato una variazione dei motivi di utilizzo delle reti online solo i soggetti più inclini alla depressione dell’umore durante la restrizione obbligatoria (0,29).
Un maggiore contributo positivo ritengono abbiano ricevuto dai social networks durante la pandemia i soggetti di genere maschile più estroversi (0,18) e stabili emozionalmente (0,24).
L’apporto per contrastare l’isolamento è stato apprezzato soprattutto dai soggetti più mentalmente aperti (0,33) ma anche più ansiosi per la situazione (0,20); il contrasto della solitudine è invece valutato maggiormente, oltre che dai soggetti più aperti mentalmente (0,26) anche da quelli col tratto di amicalità più elevato (0,21).
Il pattern di correlazioni è alquanto diverso nel campione femminile.
L’età correla con amicalità (0,27) e coscienziosità (0,27) come negli uomini, ma non con la stabilità emotiva.
I fattori di personalità appaiono meno coinvolti: estroversione e apertura mentale correlano con la partecipazione attiva ai social (rispettivamente 0,25 e 0,17); la stabilità emotiva con la numerosità dei membri familiari coi quali convivere durante il lockdown (0,17).
Come nei maschi, il contributo dei social al contrasto della solitudine è percepito maggiormente (0,14) dalle donne con più elevato tratto di amicalità.
Le altre variabili nel campione femminile sono correlate significativamente soprattutto con l’ansia di tratto: importanza attribuita ai social (0,19), tempo giornaliero trascorso (0,17), aumento del tempo di uso dei social durante il CoViD (0,21). Queste variabili sono connesse anche alla tendenza alla depressione dell’umore (rispettivamente r= 0,26, 0,29 e 0,20).
Sono le più ansiose tra le donne ad aver cambiato i motivi di uso dei social (0,19), a valutare più positivamente il contributo del loro uso (0,14), in particolare per superare la sensazione di isolamento (0,18) e di solitudine (0,21): per quest’ultima variabile incide anche la tendenza depressiva (0,17).
Analisi di predittività
Per le variabili nelle quali non si erano verificate differenze significative tra generi (importanza attribuita ai social networks; cambiamenti nel loro uso durante il periodo di distanziamento; uso dei social networks per contrastare l’isolamento e la solitudine) sono state compiute, nel campione totale, quattro distinte analisi di regressione multipla per verificare quali tratti di personalità fossero maggiormente predittivi rispetto a ciascuna delle variabili target. I risultati sono esposti nella tabella 1.
Tab. 1 - Analisi di regressioni multipla dei fattori di personalità (predittori) sulle variabili dipendenti: (1) importanza attribuita ai social networks in generale; (2) cambiamenti nell’uso dei social durante il periodo di distanziamento; uso dei social networks (3) per contrasto dell’isolamento; (4) per contrasto della solitudine.
Tabella 1.
(1) Importanza social | (2) Cambiamento nell’uso | (3) Contrasto Isolamento | (4) Contrasto Solitudine | |
Amicalità | 0,02 | 0,05 | 0,09 | 0,13** |
Coscienziosità | 0,05 | -0,03 | 0,01 | 0,07 |
Stabilità emotiva | 0,09 | 0,03 | 0,04 | 0,08 |
Estroversione | 0,10* | 0,06 | 0,10* | 0,10* |
Apertura | 0,02 | 0,10* | 0,12** | 0,05 |
Umore depressivo | 0,20*** | 0,16** | 0,07 | 0,10 |
Ansia di tratto | 0,15** | 0,14* | 0,11* | 0,18*** |
Ansia di stato (periodo CoViD) | 0,12* | 0,01 | 0,11* | 0,06 |
r2 (n=400) | .31 | .26 | .27 | .28 |
Gli asterischi indicano le significatività dei coefficienti beta: * p<0,05; ** p<0,01; *** p<0,001. |
Dalle analisi di regressione multipla si rileva che l’importanza attribuita ai social è predetta dalla estroversione, ma anche dall’ansia e dalla tendenza alla depressione. Ansia di tratto e umore depresso, insieme all’apertura mentale, sono predittivi dei cambiamenti nell’uso. Estroversione, apertura mentale e ansia di stato e di tratto favoriscono l’uso dei social per contrastare l’isolamento, mentre il contrasto della solitudine appare essere favorito congiuntamente da amicalità e ansia stabilizzata.
Conclusioni
Lo studio rivolto a valutare l’impatto psicologico che i social networks hanno avuto durante il periodo di isolamento obbligatorio ha evidenziato che essi sono stati uno strumento importante per affrontare il disagio causato dal CoViD-19. Durante il lockdown il tempo abitualmente trascorso al giorno dagli utenti nelle reti digitali è aumentato; i partecipanti alla ricerca si sono dichiarati, per la maggior parte, come utenti attivi nella rete, e non ritengono che in periodo di quarantena i networks abbiano interferito negativamente con la loro quotidiana. In particolare le donne hanno trascorso più tempo a navigare nelle reti sociali online e ne subiscono maggiormente le influenze.
Inoltre, la categoria dei pensionati è quella che più delle altre attribuisce importanza ai social e che più ha ritenuto utile l’aiuto fornito dalle reti sociali per superare la sensazione di essere isolati durante la pandemia.
Nel complesso, le piattaforme digitali durante il periodo di lockdown hanno fornito un contributo positivo nel contrastare il senso di isolamento e il senso di solitudine per la maggior parte dei partecipanti.
Tratti di personalità come estroversione e apertura mentale sembrano agevolare l’effetto positivo dei social per superare l’isolamento sociale, e l’amicalità favorisce il contrasto della solitudine; ma questo sembra avvenire soprattutto nei soggetti più ansiosi e tendenti alla depressione.
Gli effetti positivi dei social network in periodi critici, come quello conseguente alla pandemia, sembrano dunque aiutare quanti sperimentano stati più negativi di emozioni e di umore, ma tanto più se in presenza di tratti positivi della personalità.
In conclusione si può affermare che, in situazioni di emergenza come quella determinata dalla pandemia, i social networks – anziché favorire i potenziali aspetti negativi comunemente attribuiti all’uso intensivo di essi – possono invece aiutare persone tendenzialmente ansiose e di umore depresso, ma con positivi tratti di personalità, a contrastare il senso di isolamento e solitudine causato dal distanziamento obbligatorio.
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