Eroi e non. Come la Filosofia può spiegarci da dove nasce il senso del dovere
MARIA CONCETTA GANDOLFO
Se ad una cosa è servita questa pandemia, che tutti abbiamo vissuto con grandi sofferenze, è stata quella di spingerci a riflettere su alcuni valori, che forse avevamo dimenticato, travolti dal ritmo frenetico della vita odierna, improntata al consumismo e al culto del profitto
Costretti a rimanere chiusi in casa, abbiamo avuto più tempo per riflettere su certi fatti che hanno suscitato in noi profonde emozioni e insoliti interrogativi: la foto dell’infermiera di un reparto di terapia intensiva sorpresa mentre si abbandona al sonno, stremata da ore ed ore di impegno e assistenza ai suoi malati, ha fatto il giro del web ed ha commosso milioni di persone, come pure la notizia di decine di anziani medici, ormai in pensione, che hanno chiesto di rientrare in servizio per curare i malati di coronavirus.
Allora è sorta spontanea la domanda: perché certe persone sono capaci di pensare prima agli altri che a se stesse, di avere un senso della collettività che supera quello dell’egoismo naturale? In altre parole, perché in alcune particolari circostanze alcuni si comportano da eroi ed altri no?
Proviamo a cercare una risposta nella filosofia, anche per smentire il detto scherzoso che la filosofia è quella cosa con la quale e senza la quale si rimane tale e quale.
Per farlo chiediamo aiuto addirittura ad Immanuel Kant, che aveva distinto fra imperativo ipotetico ed imperativo categorico.
Per Kant il comportamento dell’uomo nasce dalla contrapposizione fra natura e ragione: la prima ci spinge a seguire i nostri istinti, come il mangiare, il bere, il fare sesso senza limiti, il salvare noi stessi prima degli altri; la seconda, cioè la ragione, interviene per imbrigliare questi istinti in una forma razionale e si esprime dentro di noi sotto forma di imperativi, cioè di comandi.
Il Cristianesimo parla di “voce della coscienza” e la identifica con la voce di Dio che ci spinge a seguire i comandamenti da Lui dettati a Mosé, ma Kant era agnostico e riteneva che non si potessero fornire prove razionali della esistenza o non-esistenza di Dio e quindi gli imperativi devono venire dall’uomo stesso, dalla ragione umana.
Gli imperativi della ragione però sono di due tipi: ipotetici e categorici.
Gli imperativi ipotetici si basano su un calcolo razionale dei vantaggi e degli svantaggi che una certa azione può comportare, per esempio: «se vuoi tenere il colesterolo basso, mangia con moderazione salumi e formaggi». Una persona può seguire o meno l’imperativo ipotetico: se non lo segue non commette peccato, perché non si tratta di un’azione morale ma di una semplice scelta di opportunità.
L’imperativo categorico invece ti impone di compiere o meno una certa azione “perché è tuo dovere” e, se ti sottrai, compi un’azione immorale.
Soccorrere un ferito in autostrada, salvare una persona che sta annegando, curare un malato in ospedale, salvare dalle fiamme un bambino, denunziare un crimine di cui sei stato testimone, sono tutti esempi di imperativi categorici a cui devi obbedire per la tua dignità di uomo, anche se ne deriveranno fastidi o seccature o addirittura un pericolo per la tua stessa vita: se ti fermi a soccorrere un ferito in autostrada, probabilmente perderai tempo prezioso in questura; se ti butti a salvare uno che sta annegando, potresti annegare anche tu, come potresti contrarre un virus mortale prestando assistenza medica o infermieristica a persone contagiate. Gli uomini e le donne che hanno agito seguendo l’imperativo categorico in queste circostanze negano di essere degli eroi e non vogliono lodi ed onori perché la morale kantiana è molto rigida: “il dovere per il dovere”, senza aspettarsi un premio o temere un castigo sia pure nell’aldilà, come prescrive la morale cristiana. Certamente se alla purezza dell’azione morale seguisse la riconoscenza dei beneficati si avrebbe quella sintesi di virtù e felicità che costituisce per Kant il “sommo bene”, ma purtroppo le circostanze successive all’ondata di commozione collettiva che ha portato l’opinione pubblica ad esaltare medici ed infermieri come i nuovi eroi dei nostri tempi, ha dopo qualche tempo condotto ad un voltafaccia che è arrivato ad accusare e denunziare quegli stessi eroi e a trascinarli addirittura in tribunale per presunte mancanze.
Questo perché la maggior parte delle persone non obbedisce all’imperativo categorico, ma a quello ipotetico, per cui fa un calcolo dei vantaggi e degli svantaggi a cui può condurre un certo comportamento, da cui ne deriva che se la Legge offre una copertura giuridica ad un certo comportamento, la maggioranza delle persone tende ad approfittarne, sentendosi perfettamente serena ed in pace con la propria coscienza: “ho diritto a non presentarmi al lavoro perché ho raggiunto l’età della pensione, perché sono un soggetto a rischio in quanto ex fumatore, perché ho diritto di anticipare le ferie, perché assisto un parente ai sensi della legge104, perché sono sottoposto a cure che hanno abbassato le mie difese immunitarie, ecc.
Anzi,in fondo in fondo gli eroi provocano in quelli che eroi non sono una certa irritazione…
Kant non spiega da dove nasca l’imperativo categorico, che ha origini ben più lontane dello stesso Cristianesimo; al suo posto lo fece, dopo un secolo e mezzo, un altro pensatore, Spencer, che, avendo abbracciato l’ipotesi evoluzionistica di Darwin, venne considerato il filosofo dell’evoluzionismo.
Per Spencer l’imperativo categorico nasce nell’uomo appena uscito dallo stato ferino, come un meccanismo di salvaguardia della specie che spinge, per esempio, a proteggere i cuccioli invece di divorarli, e le madri a difenderli anche a costo della propria vita.
Quando l’homo sapiens cominciò a vivere in comunità, divenne importantissimo il giudizio della comunità stessa, per cui nacque la morale degli eroi, quella che spinge Ettore ad affrontare in duello Achille ed a resistere alle esortazioni di Andromaca che lo prega di mettersi in salvo dentro le mura della città, nel celeberrimo dialogo reso immortale da Omero:
“Taci, donna, che penserebbero di me i Troiani dai lunghi schinieri?”
E in tempi più vicini a noi?
Non può essere sfuggito che l’imperativo categorico non sia altro che l’introiezione del Super-io, nel passaggio da una morale eteronoma ad una autonoma, come aveva già auspicato Kant. Finché siamo bambini o molto giovani, ci affidiamo alla guida di figure autorevoli come i genitori, qualche insegnante o sacerdote, che ci indicano cos’è il bene e cos’è il male: quindi la nostra morale è eteronoma, diretta dagli altri. Con la maturità, alcuni di noi interiorizzano questi insegnamenti e quindi diventiamo autonomi e obbediamo a noi stessi
In effetti obbediamo ai valori della comunità a cui apparteniamo e che largamente condividiamo, il che spiegherebbe perché menti eccelse abbiano sostenuto in passato idee e atteggiamenti che oggi ci appaiono inaccettabili.
Forse questa pandemia ci ha aiutati a recuperare il senso della comunità, e a sentirci parte di un tutto, per cui ci ritroviamo a cantare emozionati l’inno nazionale o quelle canzoni che ci accomunano e che parlano al cuore di tutti.