La strega, la bambina rabbiosa, la principessa: tre maternità inaspettate
MARISA D’ARRIGO
Anna, la strega mortifera
Anna ed il marito desiderano da un paio di anni avere un secondo figlio (il primo Luca ha 5 anni), ma non ci riescono.
Il suo racconto risulta caratterizzato da due eventi: un aborto terapeutico (che lei definisce “ormai superato” e di cui in maniera evidente non vuole parlare) risalente a circa un anno e mezzo prima della gravidanza di Luca ed un inizio di cancro al collo dell’utero che l’ha costretta ad un anno di terapia e di attenzione contraccettiva.
Lei “scivola” su questi eventi, mentre pesante è il vissuto fallimentare collegato con la difficoltà ad avere una seconda gravidanza, tanto da dire «Purtroppo stiamo bene sia io che mio marito!», quasi ad indicare una specie di “condanna” alla buona salute. L’unica soluzione che sembra riuscire a concepire è quella di lasciare il marito, con cui va molto d’accordo e di cui riconosce di essere molto innamorata, «per non farlo soffrire nel vedermi così affranta e dolorante in questo desiderio di maternità fallito». Questa ipotesi, oltre ad essere scomposta e disorganizzata, appare fortemente castrante e punitiva nei confronti sia di se stessa che del marito.
L’altro aspetto che si evidenzia è una grossa difficoltà nell’esercizio di un’equilibrata funzione genitoriale. Si rivolge al figlio sempre in terza persona: «mamma ti fa, mamma ti dice» e sembra esserci in lei la continua ricerca di una sorta di approvazione o permesso da parte del bambino, quasi una conferma del suo essere una buona mamma capace di “accontentarlo”, cioè di “farlo contento”.
La memoria ritorna all’aborto terapeutico ed Anna, in coerenza con quello che ho definito “condanna” alla buona salute e con l’aspetto castrante e punitivo della soluzione ipotizzata, inizia a parlare dei suoi profondi sensi di colpa. In questa ottica anche il problema avuto all’utero viene a configurarsi sotto l’aspetto di un attacco alla sua integrità ed alle sue capacità procreative.
Sulla stessa onda sembra collocarsi anche la difficoltà a legittimarsi nel ruolo di madre e di adulta, in una ricerca continua, con connotazioni riparative, di consenso, permesso, approvazione dal figlio.
Anna si vive come una “strega” (del resto nel suo immaginario lei ha “ucciso” il suo bambino) e a fronte di questo vissuto il suo bisogno è rassicurare il figlio (e se stessa) che lei è buona e che gli vuole bene.
D’altra parte, ed in maniera conseguente, il bambino è molto in ansia e continuamente richiedente. Questo fa sì che si ponga nei confronti della madre con contorni quasi persecutori, con l’effetto di aumentare l’ansia e l’ambivalenza di lei.
Un evento amplifica ulteriormente questi vissuti: la morte, in seguito ad un parto molto difficile, della mamma di un compagno di scuola di Luca. Alla notizia della gravidanza della donna Anna aveva provato dell’invidia. Il tragico esito del parto viene vissuto come un magico effetto di questo sentimento e si configura come una conferma del suo “essere una pericolosa strega”.
Lo spazio di consultazione è inondato da un pianto lento, apparentemente inconsolabile, ma che, proprio perché avviene, sembra comunque trovare una strada, anche se dolorosa, di espressione e di possibilità di condivisione. Apre cioè alla possibilità di mettere insieme tutti questi elementi ed ipotizzarne i possibili collegamenti.
Ciò sembra permettere una qualche evoluzione, anche se su piani di realtà apparentemente molto distanti tra loro: Luca va finalmente a dormire nella sua stanza; Anna ed il marito si “autorizzano” ad uscire da soli per andare a mangiare una pizza, senza dover accampare delle giustificazioni con il figlio; Anna accetta di sottoporsi ad un ciclo di inseminazioni intrauterine, per sgombrare il campo da rammarichi e rimpianti in riferimento alla ricerca di una seconda gravidanza.
All’incontro successivo, circa un mese dopo, mi comunica di essere rimasta incinta in maniera spontanea ed inaspettata, prima ancora di aver iniziato il ciclo di inseminazioni.
Alla strega mortifera, pericolosa per sé e per i suoi bambini, che deve essere punita e tenuta a bada sembra cioè sostituirsi l’immagine di una donna fertile che può realizzare una nuova maternità e fare la mamma anche nella sua funzione normativa, senza il bisogno compulsivo di ricevere permessi e rassicurazioni.